Emma Mezzomonti, dal Soccorso Rosso al ritorno a scuola
Scaffale «L’infiltrata» di Massimo Mastrogregori, per Il Mulino. La sua biografia fra vita politica clandestina, matrimonio con Delio Cantimori e la traduzione del Manifesto del partito comunista
Scaffale «L’infiltrata» di Massimo Mastrogregori, per Il Mulino. La sua biografia fra vita politica clandestina, matrimonio con Delio Cantimori e la traduzione del Manifesto del partito comunista
Tutti l’abbiamo letta, anche se non lo sappiamo o non lo ricordiamo. A lei si deve la traduzione del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, uscita per Einaudi nel 1948, centenario dell’edizione originale. Da allora è stata costantemente riedita in decine di migliaia di copie complessive (anche da Laterza, Mondadori e persino da «Silvio Berlusconi editore» nel 1999). Al «laboratorio artigiano familiare» costituito con il marito si deve anche la traduzione del primo libro del Capitale di Marx (Edizioni Rinascita 1951, poi Editori Riuniti ed altri). Pochi, tuttavia, conoscono la vicenda di Emma Mezzomonti, semplicemente perché nessuno ne aveva scritto finora. Dobbiamo a Massimo Mastrogregori, direttore di «Storiografia», fra i migliori studiosi di Marc Bloch e già autore, fra le altre cose, di una biografia di Aldo Moro (Salerno 2016), un denso libro che fa luce su «vita e opere» de L’infiltrata (il Mulino, con prefazione di Luciano Canfora, pp. 203, euro 16).
NATA MITTEMPERGHER nella Bolzano ancora asburgica nel 1903, italianizzò il cognome negli anni Venti, dopo aver conseguito due lauree a Roma (Giurisprudenza e Lettere). Avrebbe dovuto insegnare a scuola, ma venne assegnata, dopo un breve periodo all’Istat e una collaborazione all’Enciclopedia italiana, all’Istituto italiano di studi germanici costituito a Roma nel 1932 (e tuttora esistente). A quel tempo faceva parte dell’organizzazione comunista clandestina che univa studenti e operai romani e lavorava attivamente al Soccorso Rosso in appoggio alle famiglie dei militanti arrestati. Mastrogregori ipotizza, sulla base di testimonianze poco considerate, che forse fu in quegli ambienti e non all’Istituto che Emma incontrò lo storico Delio Cantimori, la cui adesione a un fascismo «di sinistra», vissuto come «rivoluzione italiana», era entrata da qualche tempo in crisi. La rete romana fu disarticolata dagli arresti della primavera del 1933, ma Emma si salvò rocambolescamente, grazie alla chiusura dei «compartimenti stagni» che isolavano i militanti nella clandestinità.
CHIESTO IL PERMESSO al Partito, nella figura di Emilio Sereni, nel 1936 Emma sposò Delio, ancora ufficialmente fascista. La loro vita in comune delinea una situazione di eccezionale ambiguità, che trova forse riscontro nell’insistenza di Cantimori sulla categoria calviniana di «nicodemismo», per definire gli eretici italiani che simulavano l’adesione al cattolicesimo (si veda Lucio Biasiori su Alias del 20 novembre 2020). Alla forza della repressione poliziesca, con la famigerata Ovra a piazzare spie e informatori negli ambienti antifascisti, proprio dal 1936 il Pcdi tentò di rispondere con analoga operazione: infiltrare militanti e simpatizzanti nelle istituzioni fasciste, con un «lavoro legale» che affiancava quello clandestino, ispirato al proposito di reclutare intellettuali, anche svolgendo opera di forzatura nelle proposte politico-culturali del regime. Queste linee erano state anticipate da nuclei di militanti, come quello romano di Emma, che non si erano limitati allo studio, alla propaganda e alla formazione. La facciata pubblica e il loro apparente coinvolgimento fascista, così come le loro carriere nelle istituzioni (grazie a Gentile, Delio approdò nel 1940 alla Normale di Pisa), costituirono una salda copertura per i Cantimori, così che la loro casa fu un «recapito sicuro» per i militanti antifascisti, anche sotto l’occupazione nazista.
La liberazione di Roma nel 1944 fu per la coppia anche una liberazione dal peso dell’ambiguità cospirativa. Finalmente militanti comunisti in piena luce, si diedero a un lavoro culturale in senso gramsciano e parte di questo impegno furono le traduzioni di Marx ed Engels, incluso il monumento filologico al Manifesto. Se Delio, uno dei più importanti studiosi di storia del Novecento italiano, continuò a interrogarsi sul proprio passato fascista, Emma voltò pagina, tornò a insegnare a scuola e fece calare un significativo silenzio sulla sua vita da «infiltrata».
RESTÒ ISCRITTA AL PCI anche dopo il 1956, quando il marito invece restituì la tessera. Sarebbero morti, relativamente giovani, nel 1966 Delio e tre anni dopo Emma. C’è da esser grati al certosino lavoro di Mastrogregori su una mole variegata di documenti per aver riproposto l’affascinante figura di questa comunista altoatesina e augurarci che si moltiplichino le ricerche sui molti aspetti ancora da approfondire della sua vita straordinaria.
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