«Emissioni navali, l’Ue intervenga»
Il fatto della settimana Un marchio che certifichi l’impatto ambientale dei trasporti, un Fondo per gli oceani e l’istituzione di zone a emissione controllata. L’europarlamentare verde Jutta Paulus chiede un ruolo attivo dell’Ue
Il fatto della settimana Un marchio che certifichi l’impatto ambientale dei trasporti, un Fondo per gli oceani e l’istituzione di zone a emissione controllata. L’europarlamentare verde Jutta Paulus chiede un ruolo attivo dell’Ue
«Ora che l’Imo, l’agenzia delle Nazioni Unite, ha dimostrato di aver completamente fallito, sta agli stati prendere l’iniziativa per ridurre l’inquinamento e le emissioni del settore marittimo. Sia l’Europa ad assumersi la responsabilità e accelerare l’implementazione del Green Deal. L’Unione europea deve fare in modo che anche le navi paghino per le loro emissioni all’interno del sistema per lo scambio delle quote di emissione (Ets) e che siano obbligate ad usare i carburanti alternativi verdi e le tecnologie per il risparmio energetico». All’indomani del flop delle trattative dell’Imo, Faïg Abbasov, direttore del settore navigazione dell’associazione Transport&Environment, chiede all’Unione europea di supplire alle mancanze della comunità internazionale in materia ambientale.
Già durante la fallimentare conferenza sul clima COP 25 di Madrid il Parlamento Europeo in una risoluzione aveva definito l’azione dell’Imo come «lenta e inadeguata». Oggi la parlamentare europea dei Verdi europei Jutta Paulus, relatrice della proposta per l’adeguamento del regolamento Mrv (monitoraggio, comunicazione e verifica di consumi di carburante, emissioni di CO2 ed efficienza energetica delle navi), rincara la dose: «L’Imo ha provato ancora una volta che non è disposto a condurre un’azione globale per ridurre le emissioni delle navi. Per vent’anni abbiamo aspettato che l’Imo producesse misure che potessero avere impatti positivi. Anche il primo passo per tenere la contabilità delle emissioni, il Data Collection System, è stato introdotto dall’Imo soltanto dopo che l’Unione Europea ha messo in atto il suo sistema Mrv».
SE IL PUNGOLO DELL’UE ha sortito un primo effetto, ora serve allungare il passo. Il Parlamento Europeo ha già approvato nel settembre scorso una serie di emendamenti a una proposta della Commissione che chiedono di estendere anche alle navi – quelle con stazza superiore a 5 mila tonnellate lorde – il sistema Ets, in modo che gli armatori paghino per le quote di emissioni. Con i proventi delle vendita all’asta delle quote si dovrebbe costituire un Fondo per gli oceani per il periodo 2022-2030 per rendere le navi più efficienti dal punto di vista energetico e per sostenere gli investimenti in tecnologie e infrastrutture innovative, come i combustibili alternativi e i porti ecologici. Si richiede poi alle compagnie di navigazione di ridurre di almeno il 40% le emissioni annue di CO2 per attività di trasporto entro il 2030, con multe per chi non si adegua: un target che porterebbe alla riduzione dell’1,5% di tutti i gas serra in Europa. Infine il Parlamento ha proposto di istituire un marchio che informi i consumatori sull’impatto ambientale dei prodotti trasportati via mare. Se è vero che per unità di prodotto trasportato quella via mare è la modalità di trasporto più efficiente di tutte, fa notare Paulus, «sulla base dei dati del sistema Mrv siamo in grado di valutare quali navi hanno le tecnologie meno inquinanti, con differenze anche del 35% tra imbarcazioni della stessa categoria». Queste richieste del Parlamento Europeo verranno discusse nel trilogo con il Consiglio che dovrebbe iniziare nel primo semestre 2021 per concludersi entro l’anno ed entrare in vigore nel 2022.
PER RIDURRE DAVVERO LE EMISSIONI nel Mediterraneo, che secondo l’Oms presenta i più alti livelli di inquinamento atmosferico nella sua zona orientale dove transita gran parte della flotta mondiale dal canale di Suez e dagli stretti del Bosforo e dei Dardanelli verso Gibilterra, è allo studio l’istituzione di una zona speciale a emissioni controllate per gli ossidi di zolfo (Med SOx Eca, Emission Control Area). Il provvedimento è in discussione da 20 anni tra i paesi aderenti alla Convenzione di Barcellona, il piano d’azione Onu per la salvaguardia del Mediterraneo, che però non è ancora stato ratificato da tutti i paesi rivieraschi. E questo è già un primo ostacolo. Qualora si arrivasse all’unanimità, il provvedimento dovrà poi passare all’esame dell’Imo non prima del 2022, per essere approvato non prima del marzo del 2024 ed entrare in vigore probabilmente nel 2025. Solo allora i limiti tollerati per il tenore di zolfo dei carburanti delle navi potrebbero scendere a un quinto rispetto a quello attuali, cioè allo 0,1%, che si tradurrebbe in un taglio dell’80% degli ossidi di zolfo e del 23,7% del particolato (PM2,5) diffusi nell’aria. Effetti positivi si avrebbero anche sui suoli e sul mare: gli SOx causano le piogge acide e aggravano l’acidificazione degli oceani.
NON È UN’UTOPIA. Zone SOx Eca sono state istituite nel Mar Baltico, nel mare del Nord, lungo le coste nord americane e nel mare dei Caraibi, senza penalizzare la competitività dei porti e con effetti positivi sulla salute delle persone. Uno studio IIAsa del 2019 ha stimato che l’istituzione di una Eca nel Mediterraneo porterebbe a evitare 4200 morti premature nel 2030 e fino a 11 mila nel 2050. Quando dobbiamo aspettare ancora?
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