«Emily», ritratto di scrittrice nello specchio della sua arte
Al cinema L'esordio di Frances O’Connor, riscrittura dell'esistenza di Brontë
Al cinema L'esordio di Frances O’Connor, riscrittura dell'esistenza di Brontë
L’idea di partenza, che non è piaciuta ai fautori della «biografia veritiera» è quella di inventarne una un po’ folle e molto letteraria con cui riscrivere l’esistenza di Emily Brontë la scrittrice e poeta, autrice di un capolavoro quale Cime tempestose, pubblicato con grande scandalo nel 1847, che morì appena trentenne di tubercolosi – come molto giovani morirono anche il fratello e le sorelle, tra cui Charlotte, autrice di Jane Eyre. Figlie di un pastore le sorelle Brontë erano tutte piene di talento letterario – così come il fratello – ma di loro la regista anglo-australiana Frances O’Connor, attrice, sceneggiatrice, qui al suo esordio dietro alla macchina da presa non si interessa lasciandole ai margini, e persino nel caso di Charlotte, tratteggiandola come invidiosa e frustrata, senza grandi intuizioni.
Di per sé il fatto di «inventare» una biografia non è una novità – e nemmeno un difetto – e neppure quello di legarla strettamente all’opera del soggetto, nel caso Cime tempestose, anche perché ciò che dichiara la regista non è la volontà di fare un biopic della scrittrice, vissuta tra il 1818 e il 1848, ma appunto un romanzo della sua vita che a sua volta si fa pagina scritta fra le sue, con l’uso di una modernità che è una cifra molto diffusa oggi nella rivisitazione di figure storiche.
O’Connor però non accetta i rischi di un corpo a corpo con l’opera letteraria e la scrittrice, fermandosi invece a una serie di stereotipi che mentre trasformano il suo meraviglioso romanzo in un’autobiografia, parola dopo parola, ne appiattiscono la potenza.
ECCOLA dunque Emily, la cui «rievocazione» è affidata a Emma Mackey (Sex Education) aggirarsi nella brughiera intorno alla casa del padre pastore a Haworth, col suo carattere difficile, insofferente alle rigidità delle convenzioni vittoriane; ecco le ambiguità del legame col fratello, l’oppio, la relazione appassionata e piena di tormenti con un pastore, il genio famigliare, l’irruenza della libertà. E mentre ci dice di voler affrontare gli enigmi intorno alla scrittrice la cui storia è stata mitizzata o sempre narrata da altri, a cominciare proprio dalla sorella Charlotte, O’Connor nella sua versione produce a sua volta una lettura convenzionale e patinata, ingabbiata in un romanticismo che stempera lo spirito di Brontë, almeno quello che respira tra le parole della sua scrittura.
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