Emiliano resta nel Pd. Anche Orlando corre. Ma la scissione si fa
Democrack Bersaniani furiosi contro il presidente della Puglia, volano stracci. Escono quasi quaranta dem. In Sinistra italiana restano in tredici. D’Alema: Bersani ed io siamo ormai fuori, è chiaro che i leader della nuova cosa non saremo noi. Emiliano: mi candido perché chi non lotta ha già perso, ma è un congresso nato dalla distruzione della comunità per il potere assoluto
Democrack Bersaniani furiosi contro il presidente della Puglia, volano stracci. Escono quasi quaranta dem. In Sinistra italiana restano in tredici. D’Alema: Bersani ed io siamo ormai fuori, è chiaro che i leader della nuova cosa non saremo noi. Emiliano: mi candido perché chi non lotta ha già perso, ma è un congresso nato dalla distruzione della comunità per il potere assoluto
«Chi non lotta ha già perso». Così, con una citazione nientemeno che di Ernesto Che Guevara, alla fine di una direzione Pd in cui la minoranza prende l’ultima sportellata in contumacia (i bersaniani e i dalemiani sono assenti), Michele Emiliano annuncia che resta nel Pd, si candida al congresso e mette fine, almeno per ora, ai suoi «giorni difficili», il suo interminabile andirivieni di qua e di là dalla porta di uscita del partito. Si lancia nella corsa «perché questa è casa mia, è casa nostra, e nessuno può cacciarmi», a un congresso «con rito abbreviato», nato «dalla distruzione di ogni ipotesi di comunità per ambire al potere assoluto», dice duramente all’indirizzo del segretario. Si lancia, nonostante l’ultima mediazione implorata da Gianni Cuperlo, la proposta di primarie all’inizio di luglio, venga bocciata da tutti «con una burocrazia di stampo sovietico», così poi la definisce il bersaniano Nico Stumpo. Da tutti, anche dai più ’dialoganti’ come Piero Fassino, ma soprattutto bocciata dal renziano Dario Parrini. Che nello slittamento delle primarie a dopo le amministrative sospetta una furbizia: «Non vorrei che la condivisione della vittoria o della sconfitta diventasse un elemento negoziale nel partito». Tradotto dal politichese stretto: c’è il rischio che un flop cambi in corsa gli equilibri interni.
Dalla mattina fino al pomeriggio il presidente della Puglia stacca il telefono per non parlare con «Roberto e Enrico», e cioè Speranza e Rossi, compagni di scissione fino a ieri , che in direzione definisce «persone per bene». Ma più tardi fra i tre voleranno gli stracci. Il presidente Matteo Orfini, che dirige la riunione – Renzi è volato via dalle beghe, in mattinata annuncia un viaggio in California – lo sa già e infatti all’avvio della liturgia avverte che la commissione congressuale che sarà votata potrebbe essere «integrata». Alla fine si capisce con chi: con un rappresentante di Emiliano. Sarà infatti «integrata» con un ’emiliano’, forse Francesco Boccia.
Sono invece due su 18, i componenti dell’area di Andrea Orlando (Bordo e De Maria). Un’ora prima della direzione il ministro della giustizia presenta il suo blog «Lo stato presente». Tutto esaurito al secondo piano del palazzo dei gruppi parlamentari: ad omaggiare il probabile candidato sono arrivati molti ’giovani turchi’ – fra gli altri Daniele Marantelli, l’ex tesoriere Misiani, Valeria Valente – ma anche il cuperliano Andrea De Maria. Con Orlando si schiererebbero Cuperlo e la sua Sinistradem, Damiano e una ventina di «Riformismo è cambiamento», a Roma Goffredo Bettini e forse anche il presidente della Regione Zingaretti. La commissione, presieduta dal vicesegretario Guerini, deciderà la data delle primarie, la più probabile è il 9 aprile. Tutto prende il verso che Renzi si augurava. Compresa la candidatura di Orlando, preziosa per tamponare l’emorragia a sinistra e rimotivare l’area dello scontento ex ds. Emiliano già lo attacca da Porta a Porta: «È stato la stampella di Renzi». In serata il ministro riunisce i suoi: Cuperlo eDamiano lo invitano a lanciarsi.
Nel frattempo i bersaniani sono imbufaliti per la decisione di Emiliano. Per Rossi lo scontro con Renzi sarà «una giostra populista». L’ex segretario annuncia «il non rinnovo della tessera». In Transatlantico non si fa vedere nessuno. Speranza scrive un comunicato gelido: «Prendiamo atto della scelta di Emiliano di candidarsi nel Pdr», cioè il ’partito di Renzi, «noi andiamo avanti sulla strada della costruzione di un nuovo soggetto politico del centrosinistra italiano che miri a correggere quelle politiche che hanno allontanato dal nostro campo molti lavoratori, giovani e insegnanti. Occorre iniziare un nuovo cammino». È l’annuncio dei nuovi gruppi. Il nome più quotato è «Eguaglianza e libertà». La formalizzazione forse già venerdì dopo la fiducia al Milleproroghe per evitare il primo malumore con i ’nuovi’ compagni ex Sel che per votare sì al governo aspetteranno un «cambio di passo». Fra le due componenti si stringerà un gentlemen’s agreement sui voti ai provvedimenti. Spiega un ex vendoliano: «Noi non cancelliamo i nostri quattro anni di opposizione e loro non cancelleranno i loro quattro anni di appoggio».
In serata gli ormai quasi ex Pd e gli ormai quasi ex Sinistra italiana riuniscono due assemblee parallele, per l’ultima volta prima della fusione. Ci si conta, si decidono i primi passi della nuova formazione. Alla camera i numeri dei bersaniani sono meno entusiasmanti di quelli circolati negli scorsi giorni: appena una ventina alla camera, 12 – ma determinanti – al senato. Tutto il contrario per gli ex Sel. Con il neosegretario di Si Nicola Fratoianni resterebbe solo una pattuglia di 13 deputati su 31. In 16-17 (e cioè l’area di Campo progressista) seguono Arturo Scotto, Ferrara e il vicepresidente del Lazio Smeriglio (presente all’incontro) nel nuovo gruppo, dove approderanno anche Ragosta, Matarrelli e Zaccagnini dal misto. Percorso inverso per la presidente della camera Laura Boldrini, vicina a Pisapia: traslocherà da Si al misto. Gli annunci ufficiali domani in una conferenza stampa. E sabato alla riunione dei dirigenti territoriali.
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