Cultura

Emanuele Di Porto, il ragazzino del tram

Emanuele Di Porto, il ragazzino del tram

Scaffale La graphic novel sulla sua storia, pubblicata da Mondadori, di Ernesto Anderle, Emanuele Di Porto con Marco Caviglia

Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 ottobre 2023

Emanuele Di Porto ha solo dodici anni in quella notte maledetta. Fino al giorno prima faceva lo stracciarolo, giocava ad acchiapparella o con la trottola insieme a un amico ebreo che, in quanto tale, non poteva più andare a scuola. Andava pure al cinema con i suoi genitori, nelle sere fortunate, quando guadagnava qualche lira in più dal suo lavoro in strada. Una vita normale, la sua, di ragazzino romano, fino all’alba del 16 ottobre: sua madre, svegliata dai rumori dei camion tedeschi e dalle urla, uscì di casa in tutta fretta per avvertire il marito che i tedeschi stavano portando via gli uomini casa per casa.
Non tornò più indietro pur riuscendo a salvare il figlio all’ultimo minuto, spacciandolo per «non ebreo» di fronte ai tedeschi in assetto da rastrellamento. Emanuele si nasconderà su un tram e eviterà la furia nazista grazie alla cortesia affettuosa di bigliettai e autisti. Poi, potrà ricongiungersi con suo padre e i fratelli, ma non rivedrà mai più la madre, Virginia Piazza.
La sua vicenda biografica adesso è affidata a un romanzo a fumetti, un graphic novel, uscito per Mondadori: 16 ottobre 1943. Storia di Emanuele che sfuggì al nazismo (pp. 128, euro 22), di Ernesto Anderle ed Emanuele Di Porto con Marco Caviglia. Il libro ha una prefazione firmata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che si interroga sulla cupa deriva della nostra specie, «avvicinarsi alla comprensione dei motivi per cui la storia dell’umanità – e, nello specifico, l’Europa – abbia compiuto, nel secolo scorso, una così grave e spaventosa involuzione è un cammino difficile, ma necessario».
In occasione dell’80/o anniversario del rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma, Atac ospiterà a bordo di 11 vetture della linea 23 proprio le immagini evocative della storia di Emanuele, oggi 92enne, «il bambino del tram».

Lia Levi, «insieme con la vostra famiglia»

Non solo più di mille ebrei razziati dai tedeschi con la complicità dei fascisti italiani, ma altrettante persone strappate con violenza alle loro case, i loro affetti, le loro vite. E cui sarebbe toccato un destino ancor più tragico dopo la deportazione verso i campi della morte nazisti. In Insieme con la vostra famiglia (e/o, pp. 154, euro 14) sono raccolti degli estratti dai romanzi della scrittrice Lia Levi che rievocano la tragedia del rastrellamento del 16 ottobre 1943 nell’antico ghetto ebraico di Roma. Il senso di questo agile ma significativo volume lo spiega la stessa scrittrice-testimone, in un testo che accompagna i brani di cui si compone il libro. «“Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia” è la frase che è stata trovata incisa su un muro del lager di Bergen-Belsen. Mai sapremo di chi sia stata la mano che ha tracciato di straforo quel muro. Un giovane? Un poeta? Forse. O forse un vecchio signore che aveva dovuto abbandonare una casa piena di libri?», scrive Lia Levi prima di aggiungere: «Quello che è sicuro è che dietro a quelle parole ci dev’essere stata una vita. Ma a questa singola vita non è stato possibile regalare nemmeno lo strascico di un ricordo». Da questa drammatica consapevolezza nasce perciò l’esigenza di «far emergere sotto qualsiasi forma (pensate alle pietre d’inciampo) quelle esistenze cancellate». È difficile, ammette Levi, perché «i sei milioni di ebrei trucidati vengono percepiti come un unico e immenso masso di dolore». Ma, «bisogna invece provare a dar loro un volto pensandoli uno, più uno, più uno. Perché quel masso contiene tutto il ventaglio dei milioni di diverse singole persone». Così, dalle pagine dei suoi romanzi, Lia Levi fa riemergere i volti e le storie di Giulio lo scrittore, Lucilla la malata, Ferruccio e Colomba gli innamorati, Elisa la cameriera, Corrado e Graziano, gli adolescenti ribelli. Che, prima che vittime, sono stati irriducibilmente umani e le cui vite non cessano ancora, ottant’anni dopo, di interrogarci.

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