Elogio delle varietà locali
Arrivare ad una definizione di una varietà locale non è semplice. Esistono vari piani e punti di osservazione diversi. Esiste quello meramente scientifico e molto spesso non è neppure detto […]
Arrivare ad una definizione di una varietà locale non è semplice. Esistono vari piani e punti di osservazione diversi. Esiste quello meramente scientifico e molto spesso non è neppure detto […]
Arrivare ad una definizione di una varietà locale non è semplice. Esistono vari piani e punti di osservazione diversi. Esiste quello meramente scientifico e molto spesso non è neppure detto che sia quello che meglio esprima il carattere di una «varietà locale». Esistevano innumerevoli varietà locali di frutta, di ortaggi, di cereali. Il grande Nikolaj Vavilov spese una vita ma non arrivò a catalogare questa infinita ricchezza di forme, di colori, di profumi e sapori che la biodiversità declinata da generazioni e generazioni di milioni di contadini ha contribuito a declinare.
Nel mondo anglosassone una varietà locale è definita heirloom seeds, ciascuna varietà è tenuta come una eredità di famiglia. Questa definizione la impiega anche il buon Neil Young quando nel suo concept album attacca la multinazionale degli Ogm (Monsanto). Per una volta è l’espressione inglese che meglio ci guida verso la comprensione di cosa sia una varietà locale. Non si tratta di botanica, anche se, trattandosi di piante, la botanica è alla radice; e neppure di risorse fitogenetiche, di germoplasma o di altre definizioni altrettanto anodine. Quando parliamo di una varietà locale parliamo di qualcosa che una scienza recente, l’etnobotanica, riesce a cogliere meglio. Una varietà locale o varietà antica o rurale o tradizionale, esiste in quanto originata in un determinato territorio, in un continente anche assai lontano, attraversa gli oceani e trova una comunità di contadini che la accettano, la fanno propria e per generazioni perseverano nel miglioramento genetico che i contadini hanno sempre attuato nel proprio campo.
Non sono state le facoltà di agraria a generare le migliaia di varietà di pomodori nelle infinite sfumature di colore che vanno dallo scuro del nero di Crimea al quasi bianco del giallo di Benevento e neppure le forme, a pera, a lampadina, affusolate, e neppure le dimensioni, dai ciliegini siciliani alla disposizione a grappolo o frutto singolo e nemmeno al portamento.
Per restare soltanto ai pomodori, coltivati in Europa da neppure tre secoli, grazie a ciò che i contadini hanno coltivato con tecniche diverse ci ritroviamo una grande abbondanza di varietà locali. Provare a mettersi a redigere una scheda di una varietà locale può dare molte soddisfazioni, pur nello sterminio sistematico della biodiversità seguito alla meccanizzazione dell’agricoltura, alla sua subalternità alla chimica ed alla ingegneria genetica.
Nei trent’anni di vita delle principali associazioni e reti di salvatori di semi, girando per l’Italia mi è sempre capitato di venire a conoscenza di un nome dialettale nuovo per un frutto, di un uso alimentare diverso per un ortaggio. Una varietà locale è tale se viene considerata un gioiello di famiglia, qualcosa di prezioso che ci arriva da secoli di tentativi, di semine e di raccolte. Una varietà locale ci arriva attraverso scoperte, ritrovamenti e perdite, soprattutto ci arriva attraverso la condivisione collettiva di saperi. Oggi, di fronte alle nuove sfide che il cambiamento climatico ci impone, le varietà locali, con il mondo che le ha originate, sono la teca vivente di un futuro possibile.
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