Elogio della lentezza, la pastorale urbana raccontata da Jonathan Clancy
Jonathan Clancy – foto di Carolina Martines
Visioni

Elogio della lentezza, la pastorale urbana raccontata da Jonathan Clancy

Incontri «Sprecato» segna il ritorno dell'artista canadese ma adottato da Bologna e diventato negli anni uno degli esponenti più importanti della scena musiale della città emiliana.
Pubblicato 7 mesi faEdizione del 17 febbraio 2024

È la prima volta, in più di vent’anni di musica suonata, che James Jonathan Clancy firma un album a suo nome. Il ragazzo nato in Canada, adottato da Bologna e anzi diventato negli anni uno degli esponenti più importanti della scena musicale della città emiliana, torna dopo sette anni a scrivere un disco, Sprecato. Dove forse ancora di più rispetto ai suoi progetti passati, dai Settlefish agli A classic education, dall’ironica autoreferenzialità di His Clancyness ai furiosi Brutal Birthday, si respira una libertà assoluta, una leggerezza nel fondere generi e stili, in un disco notturno, intimo, alieno, concepito assecondando un processo di scrittura molto lento.
«Nel 2018 – racconta Clancy – mi ero trasferito a Londra, e mi sono ritrovato, dopo mille cambiamenti di vita e affetti, con uno spaesamento dentro. E avevo anche poca voglia di suonare, sono arrivato a fare anche 80-100 concerti l’anno, tour che alternavo alla composizione. Non avevo intenzione di fare niente. Un amico, l’illustratore Michelangelo Setola, forse un po’ per spronarmi, mi ha mandato alcune tavole di un suo progetto che poi sarebbe diventato il libro Gli sprecati, chiedendomi se avevo voglia di musicarle». «Non c’era un’idea precisa – prosegute l’artista canadese, però di notte, con i pochi strumenti che avevo, ho iniziato. Lui mi mandava le scansioni dei disegni e io cercavo di immaginarvi una musica. Quando mi bloccavo, il suo materiale, molto forte sia dal punto di vista dei testi che dell’immaginario, poteva essermi d’ispirazione. I primi pezzi sono nati così, senza necessariamente un’idea di pubblicazione. E probabilmente questa cosa ha fatto anche sì che mi liberassi di alcune paranoie e ritornassi nella routine della scrittura, senza aspettative particolari». Le illustrazioni stranianti di Setola sono state scelte per la copertina e il libretto, a rendere più accurata quell’atmosfera da «pastorale urbana» che la musica di Sprecato esprime muovendosi tra folk psichedelico, Kosmische Musik ed esplorazioni elettroniche.

Avevo perso la voglia di suonare, ma grazie a un amico illustratore che mi mandava illustrazioni sono riuscito a liberarmi da paranoie e ritornare alla routine di scrittura

IL DISCO ha preso forma, quest’estate, grazie alla collaborazione con Stefano Pilia (chitarrista di Zu, Massimo Volume, Afterhours), amico di lunga data di Jonathan Clancy, oltre che primo bassista dei Settlefish, qui in veste di co-produttore. «Ogni volta che avevo delle idee particolari di arrangiamenti, andavamo a chiedere ad amici e amiche musiciste», e così sono stati coinvolti Enrico Gabrielli ai flauti, Andrea Belfi alla batteria, Francesca Bono al piano. Dal vivo, ad accompagnare Clancy ci saranno Dominique Vaccaro di J.H. Guraj alle chitarre, Andrea De Franco (Fera) ai synth e Kyle Knapp dei Deliluh al sax, strumento che ha definito fin dai primi brani il mood dell’album. In Sprecato, Jonathan Clancy oltre all’inglese per la prima volta canta anche in italiano. «Mi è venuto così» spiega, «non so se sia qualcosa che tornerà in futuro o meno, però certo è stata una sorpresa anche per me».

L’ALBUM è pubblicato ovviamente da Maple Death, la label fondata da Clancy che si rivela sempre più come una delle realtà più interessanti in Italia, attorno a cui ruotano molti dei musicisti presenti in Sprecato. «Di fatto l’etichetta la curo io, quindi è un po’ come se fosse una mappa di quello che piace a me come ascoltatore», riflette. «Io vengo dall’esperienza del fare musica autoprodotta, dall’organizzarsi i tour da soli e tutto quel mondo lì, e ho fondato l’etichetta proprio perché volevo ritrovare quello spirito. Mi sono trovato male in passato in altre etichette, dove c’era poco quel senso di comunità, mentre Maple Death ormai ha una rete fittissima di artisti e artiste che si conoscono, dove c’è uno scambio fatto di voglia di fare arte, di creare un po’ di poesia». E di ritrovarsi, appena si può: è ormai l’appuntamento fisso di ogni inizio di settembre il festival di Maple Death al parco della Montagnola, mentre a fine gennaio in città si sono radunate più di 40 eichette per Smania, ritrovo dedicato alla musica underground capace di dare un’idea chiara delle direzioni in cui si muovono oggi gli esperimenti più stimolanti, ad anni luce di distanza dalla musica mainstream. «A Bologna siamo bravi ad attrarre cose interessanti e organizzare, a essere un posto che crea comunità, che crea unione».

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