Cultura

Elliott Erwitt, l’arte di cogliere di sorpresa

Elliott Erwitt, l’arte di cogliere di sorpresaIl fotografo Elliott Erwitt alla Casa dei Tre Oci di Venezia, 2012 – Foto di Ansa /Andrea Merola

Addii È morto a 95 anni il fotografo americano che ritrasse celebrities e non solo. Ha indirizzato l’obiettivo verso un’umanità variegata, avvicinandosi senza preconcetti al soggetto: a bambini, mani e animali sono dedicate molte sue pubblicazioni

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 2 dicembre 2023

Uno dei baci più belli della storia della fotografia (e forse della storia dell’umanità) l’ha firmato lui – Elliott Erwitt – in California, nel 1956. Labbra che si sfiorano, occhi che ridono nel tondo dello specchietto retrovisore dell’automobile, un passo più avanti c’è l’orizzonte di acqua e cielo al tramonto. Le nuance di grigio della fotografia in bianco e nero (California Kiss) – Erwitt utilizzava prevalentemente questo linguaggio – accompagnano l’attimo nel suo proiettarsi verso l’eternità. Lungi, tuttavia, dai sentimentalismi più standardizzati, Erwitt (all’anagrafe Elio Romano Erwitz) sapeva interpretare la realtà con quel suo fare un po’ sornione (come i gatti che amava tanto quanto i cani), brillante e ironico ai limiti del sarcasmo. Nato a Parigi nel 1928 da genitori russi, ebreo per lato materno, trascorse a Milano i suoi primi nove anni di vita e all’Italia rimase sempre molto legato, a partire dalla conoscenza della lingua.

A CAUSA DELLE LEGGI RAZZIALI con la famiglia fu successivamente costretto a emigrare in giro per l’Europa e poi negli Stati Uniti, trasferendosi a New York, poi a Los Angeles e nuovamente a New York dove si è spento nella sua abitazione, il 29 novembre, circondato dalla sua grande famiglia. Novantacinque anni trascorsi nella pienezza della vita, all’insegna della curiosità e del piacere dell’incontro, dell’osservazione, della condivisione, del viaggio e anche della cucina. A Roma, ad esempio, dove tornava frequentemente anche per via del suo ruolo di membro (dal ’53) e più volte presidente dell’agenzia fotogiornalistica Magnum, amava gironzolare per il centro storico e mangiare carciofi.
Quanto alla fotografia che lo aveva affascinato sin dall’inizio degli anni ’40, grazie all’incontro con Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker, si riteneva un amateur che fotografava per hobby. Che dire, però, delle decine e decine di libri fotografici (tra cui la ricercatissima prima edizione di Personal Exposures del 1970), da lui pubblicati nell’arco di oltre mezzo secolo? «Vado a spasso e scatto foto. Non ho grandi idee, fotografo quello che mi trovo davanti. Niente filosofia. Ho sempre una macchina fotografica con me», diceva.

DI APPARECCHI ne aveva tanti, anche se prediligeva la Leica, ma aveva sempre con sé anche l’uovo di plastica, la trombetta, il naso rosso da clown… oggetti che usava per cogliere di sorpresa l’altro, persone e animali. «Questo sistema mi permette di attirare l’attenzione e cogliere lo sguardo stupito». Senza preconcetti, Erwitt ha indirizzato il suo obiettivo verso un’umanità variegata, avvicinandosi senza preconcetti al soggetto – in particolare bambini, mani e animali a cui sono dedicate molte delle sue pubblicazioni quali Son of Bitch, photographs of Dogs, To the Dogs, Dog Dogs, Handbook, Kids, Scatti personali e Fotografie ritrovate, non perse – cogliendone sempre l’unicità dell’espressione. Naturalmente ha fotografato anche le «celebrities», da Che Guevara a Marilyn Monroe, da Paolo VI a Jackie Kennedy, da Marlene Dietrich a Richard Nixon e Nikita Kruscev. Proprio la foto dell’incontro a Mosca, nel 1959, tra i due leader politici Nixon/Kruscev fu usata senza l’autorizzazione dell’autore per la campagna elettorale del presidente americano.
«La mia rivincita è stata quando, in un’altra campagna contro Nixon, fu usato lo slogan Comprereste un’auto usata da quest’uomo? abbinato a un mio ritratto di Nixon in cui ero riuscito a catturarlo in un momento in cui aveva la barba non rasata, che gli dava un aspetto decisamente poco rassicurante. Se non ispirava fiducia per l’acquisto di un’auto usata, figuriamoci alla guida del paese!».

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