Se un bacio ha reso famoso il fotografo newyorkese Elliott Erwitt, a farlo entrare nella storia sarà lo stupore dei suoi scatti: fino al 31 marzo si può visitare a Bari al Teatro Margherita Icons. Sorpresa, scarti (ma anche salti), ironia, lo sguardo di Erwitt è sempre in bilico sul qui e ora, sospeso verso il dopo, come nella foto del 1971 in cui Joe Frazier sta per stendere Muhammad Alì (ma non è ancora accaduto) nel primo dei tre memorabili duelli.

MORTO A NOVEMBRE dello scorso anno a 95 anni, ebreo, nato a Parigi e cresciuto a Milano, Elliott ha fatto in tempo a curare personalmente questa mostra, scegliendo le foto insieme a Biba Giacchetti, organizzata da Cime in collaborazione con Sudest57 e sostenuta dal Comune di Bari e dalla Regione Puglia. Questo percorso ci fornisce una sintesi compiuta della sua produzione e del suo punto di osservazione. Può essere considerato un vero e proprio commiato iconografico, intenso e per nulla luttuoso.

ANCHE QUANDO ha fotografato i potenti della terra o le star di Hollywood, il suo occhio è sempre laterale, obliquo, inatteso. Nixon sembra rimproverare Kruscev. Marilyn Monroe non si bamboleggia con lo champagne (come nelle foto di Bert Stern) ma solleva lo sguardo dalle pagine di un libro. Che Guevara guarda interrogativo verso l’alto. Di Jacqueline Kennedy riesce a cogliere le lacrime sotto la veletta nera ai funerali del marito. Con la stessa emozione ritrae persone comuni, bambini, cani.
Riesce a fissare il punctum universale di un’intera epoca. Come nella foto di famiglia anni ’60, che doveva servire per la pubblicità di una società di assicurazioni. O quella del matrimonio in Russia, con i due sposini che si girano preoccupati verso un terzo incomodo che sorride. Erwitt è sempre in oscillazione tra un romanticismo senza sentimentalismo, ordinario e mai retorico, e improvvise svolte su angoli assurdi o ambigui. Le sue fotografie restano sempre aperte su un’altra possibilità.

«CALIFORNIA KISS» è la sua foto più famosa. Scattata a Santa Monica nel 1955. Lo specchietto retrovisore riflette il bacio di una coppia dentro un’auto rivolta sul tramonto. In fondo, non opposta è quella del bulldog seduto sulle gambe di un uomo, con la faccia del cane che si sovrappone al volto, rilanciando la convinzione che i cani finiscono per assomigliare ai padroni (e viceversa).
La potenza degli scatti di Erwitt sta nel mettere in comunicazione mondi contrapposti, contaminare la realtà. L’autore riesce a rendere iconica la strada, i passanti, la gente comune. Su un altro piano, umanizza i grandi personaggi, li coglie nella loro ordinarietà.
Forse questa sua capacità gli derivi proprio dalla passione per i cani. Ama il loro punto di vista, dal basso verso l’alto, incrociando i piedi e le scarpe degli umani. È chiaro che questa visione non avrebbe avuto cittadinanza senza ironia, vero segreto della sua energia, che diventa esplicita nella serie degli autoritratti. Ci svelano il volto più autentico del fotografo, divertente e scanzonato. Capace di farsi cogliere con il dito nel naso con la naturalezza di un bambino.