Usare Eliza per parlare di Zachtronics può sembrare una furbata: d’altronde, è uno dei pochi titoli pubblicati da questo editore che non sia stato prodotto sotto la guida di Zach Barth, il fondatore dello studio, ma di quella di Matt Burns, compositore e scrittore. Eppure, con l’arrivo dell’ultimo gioco dello studio prima dell’annunciata chiusura (e un’antologia atipica nel prossimo futuro), mi è stato impossibile non pensare subito all’incredibile esperienza vissuta con Eliza, un racconto interattivo che è stato in grado di darmi quanto molto del contemporaneo «cyberpunk» non sembra più voler offrire. «Non è la specie più forte e più intelligente a sopravvivere, ma quella che gestisce meglio il cambiamento. E quando l’intero ecosistema attorno a te sta cambiando, è impossibile sopravvivere senza adattarsi». Questo è quanto scrive Koert Van Mensvoort in NextNature, un saggio di D Editore che si interroga su cosa sono natura, cultura e, di riflesso, l’essere umano; su cosa significhi la tecnologia per la nostra cultura, e se invece essa non sia estensione, come diceva McLuhan, della nostra natura. Si chiede, infine, se la nuova era tecnologica che stiamo vivendo non sia solo segno di un nostro mutamento, ma che indichi persino la nascita di nuovo organismo: superorganismi.

Eliza, nell’apparente leggerezza del suo tratto visivo, esplora dinamicamente ed interattivamente questi temi, permettendoci di prendere delle posizioni che verranno poi interrogate dal gioco stesso, sotto forma della potente I.A. che nella finzione narrativa fa da consulente psicologico a basso costo per i più bisognosi. Non è quindi un caso se il nome del gioco indica anche quello di questo miracolo tecnologico, oggi più credibile che mai: Evelyn, la protagonista umana del gioco e nostro avatar nel mondo di Eliza, è in realtà una comprimaria, spesso messa in ombra dal dominio dialogico della macc… dell’altra. A pensarci, è poetico il fatto, ai di là di Eliza, l’intera ludoteca Zachtronics sia rappresentata da giochi che, in un modo o nell’altro, parlano del nostro rapporto con la tecnologia, e di quanto questo legame sia naturale.

Spacechem, uno dei loro giochi più amati, ci chiede di vestire i panni di un ingegnere, alle prese con sintetizzatori chimici per le colonie della frontiera: bisogna cercare materiali e trasformarli in risorse ed energia, ossia la storia dell’umanità dalla sua nascita. In Infinifactory invece un padrone alieno ci costringe a lavoro in una gigantesca, immensa fabbrica, unico orizzonte della nostra vita: per sopravvivere, dovremo produrre oggetti per il capo, e anche in questo caso si tratta di una sintesi efficace (per quanto comica) di un’ampia parte della storia della nostra specie. Persino in Mobius Front ‘83 la tecnologia bellica e delle telecomunicazioni gioca un ruolo chiave: il sasso, la lancia e il fuoco non sono incidenti di percorso, ma passaggi di una naturale evoluzione umana. Durante una delle sedute del gioco, Evelyn chiede: «Per poter procedere con il percorso di cura, devi autorizzare l’accesso di Eliza a tutti i tuoi dati. Autorizzi?». «Sì, fallo. Invadi la mia privacy! Trattala come i Visigoti hanno trattato Roma!», risponde Maya, la paziente. E aggiunge: «la vita sarebbe molto più facile se dovessi semplicemente seguire le indicazioni di Eliza».

In NextNature, Van Mensvoort si chiede, anche se indirettamente, cosa significhi essere liberi e se alla fine si possa davvero ottenere, questa libertà: documenti, tasse, patenti, semafori rossi e confini nazionali sono limiti, obblighi sociali e legali che oggi nessuno, pena la reclusione, può «liberamente» decidere di non considerare. Siamo davvero così distanti da Maya, una donna che concede un po’ di sé a un’intelligenza che non conosce, pur di avere un po’ di sollievo dalle sue ansie e fatiche? Non è per questo che, sin dalle origini, abbiamo usato la tecnologia? Così come NextNature, Eliza ci chiede di abbracciare le contraddizioni della nostra realtà, per poterne immaginare una nuova.