Ormai una reunion non si nega a nessuno, anche se il più delle volte ci fa soltanto rimpiangere il mancato scioglimento, specie quando la band di turno si prende troppo sul serio illudendosi di poter tornare allo status quo ante bellum. Ma avevamo già ottimi motivi per ritenere che il caso di Elio e le Storie Tese sarebbe stato ben diverso. Innanzitutto perché il prendersi troppo sul serio non ha mai fatto parte della loro indole, a dispetto di una musica che serissima lo è oltre ogni apparenza. E poi perché in fondo il loro non è stato un vero divorzio. Nessun litigio, per quanto ne sappiamo, né incompatibilità professionali: si erano semplicemente dichiarati troppo vecchi per il pubblico di oggi.
Eppure si vedevano le dita incrociate dietro la schiena mentre giuravano addio, e già per la reunion benefica dello scorso anno avevano affermato di «essersi rotti le p***e di essersi rotti le p***e di suonare». Quindi non aveva stupito la notizia di un secondo Concertozzo a Carpi, sempre a favore della onlus bergamasca CESVI. È stato, di nuovo, un trionfo.

BEN PIÙ INATTESO l’annunciato nuovo tour nei teatri con lo spettacolo Mi resta solo un dente e cerco di riavvitarlo. Trenta date già fissate, dopo uno scioglimento che per quanto revocato aveva comportato un’assenza percepita ancor più lunga per la densità di quest’ultimo lustro. Ma il live carpigiano ha fugato ogni dubbio sulla tenuta della band, riportando i 10mila presenti nell’ucronico elioverso.
Del quale ci è mancata da morire l’ironia, eredità che nessun esponente della nuova leva musicale ha raccolto: gli Elii sono ancora gli unici in Italia ad aver compreso la natura frammentaria del pop (in senso culturale), sintetizzandone vizi e tendenze in un linguaggio che al pop (in senso musicale) e al suo contesto ha rimandato per quarant’anni. Dissacrandone dall’interno, provetti dadaisti, i miti e i luoghi sacri, da Sanremo a piazza San Giovanni.
Ci è mancato il loro virtuosismo musicale, altrettanto lontano dallo scenario attuale (e non è certo un demerito). Anche in tal senso, Elio e le Storie Tese non lasciano eredi: troppo complicato soltanto coverizzarli, a dispetto delle fantomatiche tribute band citate sul palco di Carpi dall’acclamatissimo special guest Rocco Tanica.
Ci è mancata la loro presenza scenica, e quel feat ante litteram che eleva gli ospiti — i Ruggeri, i Bisio o i Crozza di turno — a personaggi da serie tv. Ci è mancata la loro creatività, in barba a chi legge eccentricità stilistica e verve citazionista come mancanza di idee, dimenticandosi che la creazione è sempre riformulazione di elementi tratti da un dominio, al fine di rinnovare il dominio stesso. Ci è mancato il loro patto con l’ascoltatore, sancito da quel passaparola che aveva decretato il loro successo e continuamente aggiornato. E ci è mancata pure una certa volgarità, antidoto del politically correct e degli stereotipi contemporanei.

PER QUESTI e per tanti altri motivi è liberatorio ritrovarli al termine di un lustro di palchi vuoti e ripartenze che solo quest’anno sembrano finalmente ingranare. Cinque anni in cui la pandemia ha creato più tendenze dei musicisti stessi, se neanche il ciclone Måneskin è bastato a riportare in auge una certa idea di rock – da essi citato senza parodia – mentre il mainstream fagocitava pezzi di trap, rap e indie, sanremizzandoli.
Dopo cinque anni, gli alfieri musicali di quel postmodernismo così calzante alla frammentarietà pop trovano un paradigma ipermodernista, che alla pratica ironica della riscrittura contrappone un serioso e capitalista ritorno alla «realtà sotto forma di trauma». Perciò siamo impazienti di scoprire quale visione alternativa ne proporranno gli Elii, o se essi stessi finiranno in quel passato abilmente citato e riscritto. Nei giorni dell’intelligenza artificiale, il loro ritorno ci consente di riassaporare un po’ di naturalissima (e benefica) demenzialità.