Si voterà il 25 settembre, in una sola giornata, dalle 7 alle 23. Il presidente Mattarella ha sciolto le camere fissando la data del voto con una settimana di anticipo rispetto al previsto. Ha preso la decisione considerando il voto del Senato come una richiesta di aprire le urne entro settembre e dopo che l’Unione delle comunità ebraiche aveva assicurato che eventuali elezioni non sarebbero state impedite dalla festività di Rosh Hashanah. Se le forze politiche avessero chiesto una settimana in più probabilmente il presidente avrebbe accettato. Nessuno si è fatto sentire.

IL PRESIDENTE HA ACCOLTO le dimissioni di Mario Draghi e non è quel che progettava di fare. Sino al disastro di mercoledì al Senato intendeva respingere le dimissioni pur sciogliendo le camere, come aveva fatto il presidente Scalfaro con Ciampi nel 1993, per lasciare il governo quasi nel pieno dei suoi poteri sino all’ultimo minuto. È possibile che, quando mercoledì sera ha chiesto a Draghi di rinviare al giorno dopo le dimissioni, Mattarella non avesse ancora del tutto rinunciato al suo proposito. In ogni caso, alla fine, l’esito del voto al Senato, con una fiducia mai così striminzita, lo ha convinto a cambiare idea e accettare le dimissioni lasciando al governo solo l’ordinaria amministrazione.

Solo che in questo caso i margini dell’amministrazione ordinaria sono ampi e il capo dello Stato, dopo aver ricevuto i presidenti delle camere, Fico e Casellati, sceglie di parlare di persona per chiarire il quadro con massima autorevolezza: «Il governo incontra limitazioni nella sue attività ma dispone degli strumenti per intervenire sulle esigenze presenti e su quelle che si presenteranno. Il periodo che stiamo attraversando non consente pause negli interventi indispensabili per contrastare gli effetti della crisi economica e sociale, in particolare dell’aumento dell’inflazione». Ripete più volte la parola «indispensabili», Sergio Mattarella, e non dimentica di inserire nella lista il compimento del Pnrr e il contrasto alla pandemia.

INSOMMA, L’ORDINARIO e lo straordinario quasi si sovrappongono e il governo manterrà nei prossimi 70 giorni un’agibilità molto ampia. Però non totale: non potrà muoversi ove ci siano contrasti. Proprio per questo è stato stralciato dal ddl Concorrenza l’articolo della discordia, quello sulla liberalizzazione dei taxi, e solo l’adesione di tutti permetterà di varare il prossimo dl Aiuti. Nei prossimi due mesi è necessario che le forze politiche siano responsabili, garantiscano pieno sostegno al governo, nonostante si tratti di un esecutivo dimissionario e nonostante la campagna elettorale che da questo punto di vista certo non agevola. In realtà se Mattarella ha scelto di parlare di persona è proprio per segnalare l’obbligo di anteporre la responsabilità di governo alle esigenze della lotta elettorale: «Mi auguro che pur nella intensa e a volte acuta dialettica della campagna elettorale vi sia da parte di tutti un contributo costruttivo».

DRAGHI RACCOGLIE al volo l’invito del presidente. In mattinata alla Camera, di fronte all’applauso scrosciante e prolungato dei deputati, si era commosso: «Anche i banchieri centrali usano il cuore». Al Senato, mercoledì, era apparso a tratti molto teso, a tratti visibilmente irritato. A dramma consumato, di fronte al consiglio dei ministri, recupera tutta la freddezza necessaria: «Dobbiamo mantenere la stessa determinazione nei limiti del perimetro che è stato disegnato. In particolare dobbiamo far fronte alle emergenze legate alla pandemia, alla guerra in Ucraina, all’inflazione e al costo dell’energia. Dobbiamo portare avanti l’implementazione del Pnrr. Ci sarà ancora tempo per i saluti. Ora rimettiamoci al lavoro».

NONOSTANTE LA PRESENZA di ministri che hanno scelto mercoledì di non partecipare al voto decretando la fine del governo, il clima non è troppo teso. Draghi sa che anche chi ha seguito la disciplina di partito lo hanno fatto senza alcuna gioia. Tutti assicurano che seguiranno le indicazioni del presidente Mattarella e offriranno piena e leale collaborazione. Mai come stavolta si avverte, tra i ministri come ovunque, la sensazione di un’interruzione brusca e precoce di cui alcuni sono convinti, alcuni no ma che, a differenza che in ogni altra crisi simile, lascia l’amaro in bocca a tutti.