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Elezioni: decreto in affanno, ricorsi in arrivo

Elezioni: decreto in affanno, ricorsi in arrivo

Alla camera L'ostruzionismo di Fratelli d'Italia blocca la legge per gli election days il 20 e 21 settembre. I presidenti delle regioni che vogliono votare prima minacciano di rivolgersi alla Corte costituzionale. E lo stesso fanno i promotori del referendum sul taglio dei parlamentari

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 10 giugno 2020

Una trentina di deputati, quelli di Fratelli d’Italia, sta mettendo alle corde la maggioranza con un ostruzionismo nell’aula della camera che blocca la conversione del decreto elezioni. Senza interessi diretti nella prossima tornata di elezioni regionali, come invece Lega e Forza Italia che hanno trovato un accordo (dichiarato o tacito) con la maggioranza sulla data del 20 settembre, i deputati del partito di Meloni sono favoriti dalle regole anti contagio. I lavori d’aula si interrompono forzatamente per tre ore ogni tre ore: sanificazione. Sono così impossibili le sedute fiume e gli ostruzionisti possono recuperare le energie.

Il governo non vuole mettere la fiducia, perché si tratta pur sempre di un decreto legge che detta i termini del gioco elettorale, e poi perché ha già conquistato la non belligeranza di due terzi del centrodestra. Ma Fratelli d’Italia vuole probabilmente spingerlo proprio a questo, per poter poi gridare al tradimento del galateo istituzionale. Sicuramente andrà così in seconda lettura, perché il decreto legge scade tra nove giorni da oggi e il senato non riuscirebbe altrimenti a convertirlo. Qualcosa però i giallo-rossi dovranno cedere a Fratelli d’Italia per non trascinare i lavori della camera oltre la giornata di domani. Non è detto che il cedimento sia sul tavolo elettorale, di decreti in discussione in parlamento ce ne sono altri sei compreso il ricchissimo «Rilancio».

Ma è la partita sul decreto elezioni che si è complicata assai. La richiesta ad alta voce di Fd’I è uno spostamento almeno di una settimana, al 27-28 settembre, degli election days, scelta in teoria compresa nel testo già emendato del decreto ma che – è noto – il governo non è intenzionato a fare. Ma il governo non ha tutte le leve in mano, perché per le regionali può solo definire un intervallo di date: la convocazione spetta alle regioni. Glielo hanno ricordato proprio ieri sera presidente e vicepresidente della Conferenza delle regioni, l’emiliano Pd Bonaccini e il forzaleghista ligure Toti. Che hanno denunciato «la palese violazione» da parte del governo e del parlamento che ha approvato un emendamento di Forza Italia per impedire il voto prima del 20 settembre, «del principio di leale collaborazione tra le istituzioni». Parole scelte non a caso per richiamare quelle del presidente della Repubblica e della presidente della Corte costituzionale. Alla quale Corte potrebbero rivolgersi, nel tentativo di rivendicare i loro poteri. I governatori minacciano di fissare in autonomia le elezioni alla prima data utile di settembre (per il calendario il 6, per il decreto dopo le modifiche proprio il 20). Ma il Pd considera la minaccia un avvertimento a non andare oltre, a non cedere al pressing di Fd’I. Intanto di ricorso alla Consulta se ne annuncia un altro: quello dei promotori del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Che – per far contenti in questo caso i 5 Stelle – sarà, per la prima volta nella storia, accorpato alle regionali e alle comunali.

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