Luigi è un signore poco più che quarantenne che incontro di frequente al bar. Dopo essere stato per qualche tempo cameriere, ha lavorato per 13 anni come falegname e ora si ritrova senza lavoro. È una persona sensibile, che segue con attenzione gli accadimenti del mondo e dell’Italia, politicamente vicino al Pd. Si lamenta ora di aver abbandonato troppo presto la scuola e di essersi messo a lavorare subito dopo le medie: c’erano tante occasioni di occupazione, che la tentazione di lasciare gli studi risultò allora per lui irresistibile. In questi mesi ha presentato centinaia di curriculum in giro, ma non ha avuto neanche una risposta. Si chiede se avrà mai una pensione. È tentato dall’emigrare all’estero.
Intanto il fratello della mia edicolante, romeno, sui quarantacinque anni, aveva già giocato la stessa carta dell’emigrazione venendo nel nostro paese, dove aveva trovato anch’egli a suo tempo un lavoro come falegname; ma anche lui è stato licenziato dopo sette anni di attività. Sembra una persona buona e intelligente.

Luigi è sostenuto economicamente dalla moglie che lavora ancora, mentre il secondo si appoggia alla sorella, che aiuta nell’attività di vendita di giornali. Ha due figli che però, per fortuna, stanno con la moglie da cui è divorziato e che ha un lavoro.
Dietro questi due episodi c’è la crisi dell’edilizia, che è forte anche in Emilia Romagna, dove risiedo, ma pesa pure l’innovazione di prodotto nel settore, che vede, ad esempio, la sostituzione progressiva degli infissi in legno con quelli in pvc, tecnologia che richiede altre competenze.
Alle vicende dell’edilizia sono anche legate le sorti di Marco, geometra, che lavora in uno studio di progettazione; sino a tre-quattro anni fa c’era moltissimo da fare, ora non riesce a ottenere che qualche incarico saltuario. Anche per quanto riguarda il suo caso, la moglie per fortuna è una funzionaria del settore pubblico e per il momento il suo posto non appare minacciato. Ma chissà che anche da noi prima o poi la troika non riesca a imporre licenziamenti di massa nel settore, come in altri paesi.
Eppure ci sarebbe tanto da fare nel settore di riferimento delle tre persone senza lavoro citate (i nomi sono di fantasia), per risanare l’ambiente, riqualificare il patrimonio edilizio e i quartieri degradati, svolgere manutenzione straordinaria, in particolare del patrimonio edilizio pubblico.

Antonio, un altro quarantenne, laureato in economia, con molti e vari interessi (tra l’altro è stato vice regista in una produzione cinematografica), lavora nel mondo della consulenza aziendale, ma il mercato si è fortemente ristretto negli ultimi anni e ormai i suoi redditi sono ridotti a quasi nulla. Pure lui è sostenuto dal reddito della moglie, anch’essa laureata, che è però preoccupata a sua volta per le prospettive poco brillanti del suo settore. Hanno una figlia piccola.
Conosco diversi altri consulenti in giro per l’Italia – tra l’altro, anch’io ho lavorato nel comparto abbastanza a lungo – e quasi tutti soffrono, chi più chi meno, per il fatto che di lavoro ce n’è sempre meno; qualcuno è vicino alla pensione e non se ne cura oltre misura, qualcun altro invece ha un mercato che regge, ma alcuni, in genere più giovani, fanno una fatica tremenda a sostenere la situazione.

[do action=”citazione”]Disoccupate sono tante donne. Ma in molte famiglie l’unico stipendio è quello femminile[/do]

Eppure nei momenti di difficoltà dell’economia, almeno in teoria la consulenza, come del resto le attività di formazione e di ricerca, dovrebbero essere per le imprese delle carte da giocare con forza per cercare di migliorare la situazione e raddrizzare almeno alla lunga il timone, ma evidentemente almeno in Italia questo non accade. Anzi, in genere, le voci di spesa sopra citate sono le prime nel nostro paese a essere tagliate al primo annuncio di difficoltà; molte imprese, come la gran parte dei politici, hanno un orizzonte temporale che non va più in là di qualche settimana e queste spese vengono evidentemente considerate molto spesso come attività marginali, di immagine.
Sarebbe utile un intervento pubblico che incoraggi lo sviluppo, riqualificando attività cruciali per lo sviluppo delle imprese e del pubblico.

Daniela è una fotografa trentenne romana; a giudicare dalle sue opere, è molto brava, raccoglie molti consensi tra chi la conosce, ma si tratta di un mestiere dove affermarsi è molto difficile specialmente in questo periodo; sono necessarie relazioni forti, oltre che una certa dose di fortuna. Daniela ha svolto anche saltuariamente qualche lavoro importante, cerca di prendere delle iniziative anche originali, ma fa molta fatica a sostenersi economicamente ed è la madre in questo caso che la aiuta. Tra l’altro c’è una concorrenza spietata nel campo della fotografia, e molti giovani offrono i loro servizi ai clienti potenziali anche gratuitamente.
Il figlio di un mio amico, fotografo molto bravo anche lui e con qualche anno in più, lavora invece in Germania, dove sembra che il merito trovi più facilmente la sua strada. Ha una clientela internazionale e una sua fotografia si vende oggi intorno ai 20 mila euro. Misteri del mercato.

Marco, cinquantenne, era dirigente d’impresa, responsabile di stabilimento in una media impresa nazionale, operante nel settore meccanico. La crisi ha portato al suo licenziamento, mentre il lavoro della moglie, segretaria di direzione, non sembra invece minacciato.
Questa crisi ha in effetti visto crescere le difficoltà non solo per gli operai e gli impiegati semplici; ha portato al licenziamento anche di decine di migliaia di dirigenti e di quadri intermedi, falcidiati peraltro dall’evoluzione tecnologica e organizzativa delle imprese, che negli ultimi tempi ha portato alla riduzione anche drastica, in alcuni casi, di molte fasce intermedie di management, riducendo i livelli della piramide gerarchica.

In tutti i casi finora citati le difficoltà dei singoli vengono stemperate dall’esistenza di famiglie nelle quali qualcuno, in questo caso quasi sempre delle donne – ma si tratta di un caso – ha ancora un reddito fisso. Ma si intravedono peraltro dei problemi potenziali anche per il coniuge, specialmente se le difficoltà attuali dovessero peggiorare.

C’è in effetti anche un caso che conosco e che va in tale direzione. Francesca ed Enrico lavoravano entrambi, ambedue tra i quaranta e i cinquanta anni. Ora lei, che svolgeva compiti di segreteria in una filiale di una impresa multinazionale, ha perso il posto perché la stessa filiale ha chiuso i battenti; Enrico si trova a lavorare in un’azienda italiana che ha ora messo in cassa integrazione i dipendenti e la sua sorte appare quindi appesa a un filo.

Gli esempi che ho ricordato mostrano che, nella gran parte dei casi, all’origine delle difficoltà stanno certo dei fattori congiunturali legati alla crisi, ma anche fenomeni strutturali, quali le modalità di funzionamento delle imprese, l’evoluzione tecnologica, i processi di internazionalizzazione, che si mescolano in maniera inestricabile a quelli congiunturali. Questo rende apparentemente più difficile un ritorno alla «normalità».
In diversi casi sarebbero aperte le porte a un lavoro attraverso la strada dell’emigrazione, ma i problemi di tipo culturale, quelli legati ai vincoli familiari, la scarsa conoscenza delle lingue, il timore di un salto nel buio, frenano in concreto anche questa possibile via d’uscita.

Questa crisi ha un carattere in qualche modo «interclassista» e «intergenerazionale», toccando, anche nel nostro piccolo campione, tutti i gradi gerarchici della piramide organizzativa e tutte le età lavorative.
E intanto il governo pensa a ridurre l’Imu.