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Elémire Zolla, avversari metafisici nell’orbita del Kitsch

Elémire Zolla, avversari metafisici nell’orbita del KitschAlberto Savinio, «Sodoma», 1929

Novecento italiano Nella forma tragicomica del «Minuetto all’inferno», la favola gnostica di due giovani, trasferita in cielo, dove Dio e il Diavolo prendono direzioni opposte da quelle degli esseri umani: riedito da Cliquot

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 24 marzo 2024

A metà degli anni Cinquanta Elio Vittorini, responsabile dell’autorevolissima collana «I gettoni» di Einaudi, ha tra le mani il dattiloscritto di un giovane che ha meno di trent’anni e si chiama Elémire Zolla: è un romanzo scritto qualche anno prima, tra il 1951 e il 1952, dal titolo enigmatico, Minuetto all’inferno. Il libro è lontanissimo dalla idea che Vittorini ha della letteratura; lo rimanda, anzi, a una tipologia di autori per i quali prova una netta intolleranza. Tutti gli artisti cerebrali, che esibiscono platealmente i filamenti della loro scrittura, sono per lui dei modelli negativi, «un intero filone di letteratura che mi riesce inesplicabile: quello in cui si avverte, deliberata, l’azione speculativa dell’intelletto, come quando vediamo, a una radioscopia, il bario percorrere i visceri che vuol rivelarci». Campione esplicito di questa tendenza, Thomas Mann è consegnato all’esperienza del suo antiromanzo per eccellenza, il Doctor Faustus.

Alla fin fine, contrastate da altri lettori del gruppo Einaudi, tra cui Carlo Fruttero, le riserve di Vittorini capitolano, e il libro di Zolla esce nel 1956, portandosi dietro i residui di quella diffidenza autoriale nel risvolto di copertina: un avvertimento al lettore sull’opera ambigua che ha tra le mani. A distanza di quasi settant’anni, Minuetto all’inferno riappare pubblicato da Cliquot (con una introduzione, equilibrata e efficace di Grazia Marchianò, pp. 260, € 20,00). In un clima intellettuale radicalmente altro,  e dopo che Elémire Zolla, morto nel 2002, si è imposto quale studioso eminente delle tradizioni filosofiche orientali e del pensiero religioso, leggere Minuetto all’inferno implica recuperare il preludio di un’avventura intellettuale unica nel panorama italiano e invita a ripensare lo spazio che il romanzo occupa nell’editoria postbellica, oscillante tra crisi ideali e presagi di un presente dolorosamente grigio.

A partire dai personaggi, i cui destini si iscrivono sotto l’ombra del fascismo prima e della liberazione poi, il sentiero seguito da Zolla appare eccentrico, e bizzarro. La sua vocazione, tuttavia, non è per il romanzo realista. Eloquente la restituzione delle giornate della Liberazione: «l’esaltazione diffusa, selvaggia, che gettava fino a loro i suoi riverberi, con una scarica improvvisa di mitragliatore, con la musica dei tanghi e delle canzoni sincopate. Come per i sogni e le esperienze sovrannaturali (che sogni sono), la memoria si rifiutava dopo di dare un resoconto minuto, preciso di quei giorni. Parevano uno solo, e pareva perfino dubbio che fossero stati».

Fin dai i nomi di alcuni degli attori (Lotario Copardo, per esempio, o Edmeo Nepoti) Zolla manifesta piuttosto una sofisticatezza dannunziana, che si riversa in una prosa lessicalmente e stilisticamente assai elaborata, satura di termini preziosi e di sottigliezze psicologiche.

La trama si divide in due parti e segue le storie parallele di un giovane e di una fanciulla: aspirante medico e poi scultore il primo, pittrice la seconda, vocazioni improvvisate e casuali, tali da non garantire nessuna riconoscibile identità. Attorno ai due ragazzi agisce un numero di personaggi appartenenti al demi-monde intellettuale e alla borghesia agiata. Non mancano frammenti di un mondo arcaico, con connesso il peso di antiche magie e di relativi riti. Introdotta da una citazione tratta da Jean Santeuil di Proust, la seconda parte del romanzo modifica il punto di vista sui fatti e colloca il loro svolgimento alle dipendenze di forze onnipotenti, che governando i singoli destini,  li indirizzano al loro epilogo.

Zolla trasferisce la scena in cielo e mette a confronto Satana con Dio: di quale idea di umanità costoro siano portatori è esplicitamente indicato. Satana sta dalla parte del pensiero critico e Dio è l’espressione del potere assoluto, che non tollera inquietudine.  Satana legge Bouvard e Pécuchet. Dio si circonda dei suoi Angeli come di guardie del corpo arroganti e ribalde. Detesta la verità e esalta la fede. Da una parte stanno il nulla e l’angoscia; dall’altra l’essere e l’umiltà, garanzia di una barbarie felice. L’universo di Satana asseconda l’unica soluzione possibile: «ficcare lo sguardo fin dentro alla ferita, sentirla dagli orli fino alla parte più interna. E renderti conto che la ferita è lo stato normale del tessuto, almeno finora». Nel corso di quella che la curatrice chiama favola gnostica, i due avversari metafisici disegnano direzioni opposte agli esseri umani e alle loro società: Zolla allestisce una rappresentazione in cui Dio sconfigge Satana, ma l’esito è il contrario di un lieto fine.  «L’uomo banale» – si legge  – «è trafitto dalle più atroci ferite», e questo modello umano si sta affermando nella società del finto benessere.

Nella forma tragicomica di un minuetto, il romanzo datato 1956 annuncia temi e modelli a cui Zolla resterà fedele negli anni. D’altra parte, aveva dichiarato presto in che direzioni andavano i suoi gusti letterari: «Ciò che davvero mi costituiva era l’entusiasmo che provavo per certe opere. Le leggevo e rileggevo: il Tao Te Ching, Alice nel paese delle meraviglie, la vita del Buddha. Viceversa altre letture le tenevo a distanza, mi infastidivano quasi quanto il mondo circostante (come i romanzi di Dickens così carichi di odiosa compassione)». Nel 1959 pubblicherà Eclissi dell’intellettuale, saggio polemico e provocatorio sui rischi della modernità. E come epigrafe sceglierà, non a caso, una frase di San Nilo Abbate: «Colui che si disperde nella moltitudine ne torna crivellato di ferite».

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