Elden Ring, disperata epica dell’agonia
Alias

Elden Ring, disperata epica dell’agonia

Games Vi si può andare alla deriva, e vivere la propria personale epopea: per PlayStation 4 e 5, le serie di Xbox, e computer
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 16 aprile 2022

L’intervallo prolungato, quasi eternato, tra l’inizio della fine e la fine, quando l’omega non giunge mai e il tempo agonizzante si dilaziona in una palude immota, laddove tutto langue protraendosi nell’ansia, nella furia e nell’orrore di un vuoto impossibile. C’è sempre una poetica comatosa nei mondi inventati da Hidetaka Miyazaki e From Software, in un’accezione che non è tuttavia soporifera ed è invece onirica, una lirica che si riferisce all’attimo terribile che precede la morte, quando il decesso è solo un’illusione e la coscienza di una prossima estinzione si perpetua nella sua sfiancante e dolorosa attesa, non c’è consolazione in una fine annunciata che si nega impietosa alimentando l’incertezza e la sofferenza in una sconfinata parentesi di angoscia. Perché questo «è il modo in cui finisce il mondo, non con uno schianto ma con un lamento». Così è anche per l’Interregno di Elden Ring, l’ultima opera dell’autore di Dark Souls, Bloodborne e Sekiro, un compendio del suo pensiero questa volta contaminato con quello di George R. R. Martin, l’autore delle celeberrime Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ovvero il Trono di Spade, e anche di romanzi più ispirati e assai meno conosciuti come La Luce Morente, Armageddon Rag e il Battello del Delirio. Ma l’infinito affievolirsi nel quale naviga chi gioca agli incubi crudeli e magnifici di Miyazaki non nega l’epica, quella della marcia funebre, quella di Beethoven e di Wagner, un epicedio cantato per chi non è ancora defunto, vivendo nel terrore, combattendo una grandiosa battaglia senza gloria «ammassati su questa riva del tumido fiume».

Non più uomini vuoti e maledetti, ammorbati o condannati all’eterno essere, questa volta siamo sbiaditi, Senzaluce, vaganti per lande infrante in una donchisciottesca impresa salvifica senza la consolazione dell’umorismo, della vitalità e della concretezza di un Sancho Panza, e negato ci è pure il sogno di un qualsiasi amore, non c’è Dulcinea, solo mulini a vento che qui si rivelano essere davvero minacciosissimi giganti.

Uscito per PlayStation 4 e 5, le serie di Xbox e PC, Elden Ring è comunque un motore di innumerevoli avventure elettroniche tra dolori e gioie, un videogame più accessibile e meno severo (almeno durante le prime trenta o quaranta ore di gioco) di altre opere più punitive di From Software, perché consente un arco di apprendimento e miglioramento più dilatato e riflessivo, oltre che a consolarci con la consuetudine di qualcosa che si è già esperito come esercizio ludico.

Fantasy oscuro, tolkieniano in un’immagine mutuata e confermata dalle interpretazioni di Peter Jackson, fino a sconfinare nell’horror, Elden Ring è eccezionale in una maniera sfuggente ad una visione oggettiva, trasformandosi per un’alchimia precalcolata in una delle più potenti esperienze soggettive godibili nei dominii numerici, un capolavoro contorto e intimo che resta ancorato dentro oltre ogni logica, permanendo nella coscienza come prima Legend of Zelda Breath of the Wild, dal quale mutua un’esplorazione fondata sull’osservazione e lo studio dell’ambiente invece che sugli indicatori.

Ci sono tante storie e personaggi stralunati quanto chi ascolta le loro vicissitudini, ma questi sono spesso smarriti nell’immensità dello spazio di gioco, ed è facile persino non incontrarli, perdendo così avventure più che avvincenti e rivelatrici. Molto del fascino di Elden Ring risiede proprio nell’opzionale, nel caso, nella possibilità di andare alla deriva vivendo una propria personale epopea che è certamente controllata, ma orchestrata per illuderci di essere i compositori. Inoltre l’esperienza di Elden Ring varia in maniera notevole in base a che approccio marziale utilizziamo contro gli imponenti e terrificanti nemici che si affrontano, i più terribili dei quali sono appunto facoltativi, come la quasi impossibile Malenia, valchiria sublime quanto apparentemente imbattibile. Utilizzare magie o spadoni, archi o lance, giocare da soli o cooperando con altri, muta in modo drastico la ritmica ludica ed emozionale del videogioco. Così è anche per altre opere di From Software, ma qui, nell’ampiezza e quantità degli spazi navigabili, la scelta di modalità offensive e difensive è ancora più drastica e condizionante.

Elden Ring propone una visione della natura e delle architetture che rimanda ad una «weltanshauung» romantica, favorendo una dialettica tra sentimento e ragione, laddove la seconda soccombe tuttavia nello sgomento, in un sentire la propria insufficienza di fronte all’inumano e all’inspiegabile, così che il sublime coincide con il terribile, sempre, paesaggi simbolici nei quali vaghiamo ammirando e temendo, tutti viandanti di Caspar David Friedrich, come il quale infine ci eleveremo sul «mare di nebbia» perché essendo in un videogioco è necessario vincere.

Gigantesco nelle sue dimensioni, Elden Ring richiede oltre un centinaio di ore per essere «terminato», assai di più per essere esplorato in ogni suo segreto. Si tratta di un videogame che sollecita a prendere appunti, quasi a tenere un diario, affinché ciò che si esperisce non si smarrisca nella memoria; perché non c’è nessuna pagina del menù di gioco dove dialoghi e storie siano registrati per un’eventuale consultazione, quindi Elden Ring mira a farci produrre una nostra letteratura.

Meravigliosa opera d’ingegno indicativa, suo malgrado, dei tempi oscuri in cui trascorriamo, perché nostro «è il Regno e fra l’idea e la realtà, fra il movimento e l’atto, fra la concezione e la creazione, fra l’emozione e la risposta, fra il desiderio e lo spasimo, fra l’esistenza e la potenza, fra l’essenza e la discendenza, cade l’Ombra», Elden Ring è senza dubbio un prodotto industriale, ma al contempo è arte dolorosa e straordinaria che si dissocia dal suo contesto commerciale, diventando rifugio e monumento, luogo di fuga, spazio effimero e confortevole per affrontare gli incubi e le difficoltà con la quieta sicurezza di poterli vincere nel dolce inganno della virtualità.

Federico Ercole

***

Elden Ring, l’eterno ritorno della distruzione
di Giulia Martino

L’anello del Nibelungo è il segno distintivo del male radicale, della volontà di potenza, e l’anello del mago, una volta messo al dito, conferisce il potere». Scriveva così il filosofo Otto Weininger, tracciando l’immagine della «tremenda condanna» rappresentata dal movimento circolare dell’anello. E la figura dell’anello, con tutto il suo potere immaginifico, è al centro del mondo di Elden Ring: figura numinosa, sfuggente, simbolo e manifestazione di divinità cosmiche che richiamano «i folli altri Dei che vengono dall’Esterno» di lovecraftiana memoria.

La morte è centrale nella composizione del director Hidetaka Miyazaki, come è tradizione nei souls prodotti da FromSoftware. La fine viene respinta dalla regina Marika, che espunge la morte fatidica dalla struttura dell’Anello Ancestrale; in seguito al furto della runa da parte dell’Empirea Ranni e all’assassinio di Godwyn, il primo dei semidei a morire, Marika rompe l’Anello e dà il via alla tremenda Disgregazione e alla sua sequenza di guerre senza fine. Le radici mortali appaiono nell’Interregno, e gli abitanti di queste terre maledette perdono il senno, patetiche vittime della vita eterna. Anche i semidei incontrano destini tremendi: i fratellastri Malenia e Radahn si stringono in un abbraccio mortale che cambia per sempre il territorio di Caelid, ormai condannato a soccombere all’orrida marcescenza scarlatta, e Radahn, ormai folle, vaga in groppa al suo cavallino alla ricerca del prossimo pasto cannibale, mentre i suoi soldati cercano un valoroso capace di assicurargli una morte onorevole; Miquella, l’Empireo destinato a rimanere per sempre bambino, viene rapito dal semidio Mohg, desideroso di elevarsi al rango divino diventando suo consorte.

È un cast variegato, quello di Elden Ring, che tesse un complesso ordito di trame familiari che risveglieranno di certo l’interesse degli appassionati delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. È forse in questo impianto che si può rintracciare la mano di George R. R. Martin, che ha contribuito alla creazione della mitologia posta alla base del mondo di gioco, incentrata sul desiderio di potere dei suoi abitanti. Non mancano gli omaggi allo scrittore statunitense: si va dal maestoso Spadone della lama innestata, formato da lame fuse assieme in un chiaro richiamo al Trono di Spade, alla presenza di una Madre dei Draghi, in questo caso non una principessa umana ma un vero e proprio drago antico, la gigantesca Greyoll.
Con la rottura dell’Anello da parte della regina Marika, si è aperta l’opportunità di ricominciare un nuovo ciclo, con regole differenti. Le personalità di maggiore spicco dell’Interregno hanno idee diverse e pensano a nuove visioni da innestare nella circolarità dell’Anello. Ma questo significa creare un nuovo Ordine, un nuovo ripetersi che, stando alla filosofia alla base della serie Dark Souls di FromSoftware, è a sua volta condannato a generare stasi e corruzione. È vivida più che mai la riflessione sul potere devastante dell’uomo, sulla sua insensata sete di dominio, e nell’Interregno si respira un’inquietudine diffusa, accompagnati dalla tremenda sensazione di essere l’ennesimo distruttivo ingranaggio di un meccanismo terrificante.

Resta la gloria di una narrazione frammentata esattamente come l’Anello Ancestrale, da percorrere – taccuino alla mano – consultando le descrizioni di armi, oggetti e armature reperiti nel corso dell’avventura, senza dimenticare di ascoltare i dialoghi dei personaggi che popolano l’Interregno, ed esercitando l’umile e imponente lavoro di chi deve scoprire un mondo palpitante di vita, ma ermetico nel narrarsi. Con la consapevolezza che nessuno sviluppatore ha il talento di FromSoftware nel costruire universi di straordinaria profondità, capaci di incantare tanti i nuovi giocatori quanto i vecchi appassionati, che in Elden Ring ritroveranno grandi temi affrontati in passato e oramai diventati autentici archetipi del panorama videoludico: questo è il potere immaginifico dell’Anello Ancestrale.

***

Una macchina di illusioni
di Matteo Lupetti

In una intervista rilasciata a Game Informer nel 2009 dopo l’uscita occidentale di Demon’s Souls di FromSoftware, inizio del filone che porta a Elden Ring, il direttore Hidetaka Miyazaki disse che il suo scopo era dare «un senso di soddisfazione,» la sensazione di aver raggiunto un traguardo. Un concetto che Miyazaki ha ripetuto più volte negli anni, fino a una recente intervista a The New Yorker in occasione dell’uscita proprio di Elden Ring, dove ha spiegato di voler restituire quella soddisfazione che nasce dal risolvere problemi che sappiamo avere una soluzione. Perché i problemi che incontriamo nei videogiochi, a differenza di quelli incontrati nel mondo nonvirtuale, hanno sempre almeno una soluzione, e il nostro sforzo ha valore proprio perché ci permetterà di trovarla. Anzi, consideriamo un videogioco «sbagliato» quando propone sfide inadatte alle competenze e alle abilità che il gioco stesso ci ha insegnato e lo consideriamo «rotto» quando le sue sfide sono impossibili.

Il mondo fantasy di Elden Ring e degli altri videogiochi di FromSoftware è fatto per sembrare inospitale, disinteressato alla nostra sorte e persino ostile. Le opere di FromSoftware sono inoltre giudicate poco approcciabili e poco accessibili e la soddisfazione che danno è quindi considerata migliore di quella offerta da altri videogiochi perché più rara e elitaria. Ma il loro mondo (come alla fine quello di quasi tutti i videogiochi) è in realtà progettato proprio per ospitarci e per permettere anche una certa varietà di approcci sia alle singole sfide sia all’esperienza in generale. In Elden Ring c’è sempre l’opportunità di evocare una spettrale cavalcatura e galoppare a folle velocità verso nuovi nemici più adatti a noi e al nostro personaggio, in un mondo colmo fino all’eccesso di segreti da scoprire. Il successo è raggiungibile, è ovunque. Ogni percorso secondario conduce a un tesoro.

Elden Ring viene descritto come un videogioco ambiguo e misterioso a causa della sua narrazione oscura, portata avanti da dialoghi che danno spesso informazioni solo parziali, dai luoghi e dalle architetture che visitiamo e dalle descrizioni degli oggetti ottenuti. La sua storia invita chi gioca a ricucirne i frammenti in una specie di «metagioco,» di gioco oltre il gioco, che viene svolto da intere comunità nell’impossibile tentativo di ricostruire il passato perduto del suo mondo. Un passato però sempre destinato a restare incompleto, a non darci una soddisfazione finale, una conferma del nostro successo. La storia di Elden Ring, liberata dal meccanicismo videoludico, può permettersi di essere una sfida senza soluzione, può permettersi di non essere una power fantasy, una fantasia di potere, di controllo e possesso.

Invece niente del genere emerge da ciò che effettivamente facciamo nel videogioco, cioè combattere. Un combattimento che ha in Demon’s Souls e nel successivo Dark Souls del 2011 almeno una sua forza espressiva, un suo peso fisico e narrativo. È brutale e, nei suoi momenti migliori, perfino noioso e spiacevole. La simulazione della violenza può avere significato. Ma nei lavori più recenti il combattimento è solo una questione meramente meccanica, numerica, matematica. Niente ci appare inconoscibile. Gli avversari sanguinano numeri che quantificano il danno che abbiamo inferto, sono ridotti a macchine che ripetono sequenze di attacchi da imparare a memoria ed evitare, ostacoli posti arbitrariamente sul nostro percorso. E il personaggio principale è ugualmente una macchina descritta da valori numerici da far crescere nel tempo e armata con oggetti potenziabili descritti da altri valori numerici, chiaramente esibiti per favorirne calcolo e ottimizzazione.

Il successo di Elden Ring (12 milioni di copie in tre settimane) dimostra come anche FromSoftware sia riuscita a ottimizzare una macchina: la macchina-software della soddisfazione virtuale. L’illusione di un mondo inconoscibile e ostile, dove invece tutto è quantificato e accogliente.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento