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El Pasador, questione di stile

El Pasador, questione di stileCristina Zavalloni (foto Ansa)

Ricordi/La figura dell’artista romagnolo, da poco scomparso, nel racconto della figlia Cristina Zavalloni «Mio padre stravedeva per me, ma faticava ad accettare che mi fossi emancipata dal suo campo d’azione, ambiva a una perfezione irreale»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 12 agosto 2023

Paolo Zavallone, volto noto della televisione italiana dalla seconda metà degli anni Settanta a seguire, è scomparso lo scorso venti giugno a Bologna. Il compositore e cantante, nato a Riccione nel 1932, era conosciuto anche come El Pasador. Il soprannome gli venne attribuito ai tempi del suo maggior successo discografico, il brano Amada mia amore mio, a seguito di uno scambio di battute con l’amico e cantante Bruno Pallesi che, scherzando sulla sua provenienza romagnola, tirò in mezzo la figura del ladro gentiluomo ravennate del Passator Cortese, dalla cui storpiatura si materializzò El Pasador. Il commiato a Zavallone è avvenuto nella città felsinea lo scorso 23 giugno, stessa data in cui con uno strano incrocio della sorte, è stato pubblicato l’ultimo lavoro della figlia Cristina Zavalloni che così commenta: «Nella mia vita professionale da adulta, sono sempre stata alla larga da papà e dal suo mondo musicale. È stato il modo per trovare la mia dimensione. Poi negli ultimi mesi ho capito che qualcosa si stava allentando, che si preparava a lasciarci. Allora ho deciso di fare un atto di psicomagia: incidere un suo brano inedito degli anni Settanta, di cui al tempo avevo scritto il testo. Si intitola Restiamo amici ed è bellissimo. L’ho registrato in duo con Manuel Magrini e intorno abbiamo costruito l’ep Lontanissimo, perché così sentivo papà negli ultimi tempi. Il disco è uscito il 23 giugno, data che ha coinciso involontariamente con il suo funerale. Poi ditemi che la vita non è incredibile».
Periodo fertile per la cantante, la quale ha dato alle stampe l’ep Twisted, realizzato con Michel Godard, pochi giorni prima di Lontanissimo. Di cui uno dei passaggi più toccanti dei cinque brani inclusi, è proprio la citata Restiamo amici, il cui trailer di lancio vede un siparietto tra figlia e genitore, dove quest’ultimo con la consueta espressione ironica, afferma «…l’avrei fatta differente». Una questione di stile per Paolo, come sottolinea la jazzista: «Lo dice seriamente! Era tipico suo: di primo acchito, non gli piaceva nulla di quel che facevo. Sul canto poi non ne parliamo, aveva costantemente da ridire. Per carità, stravedeva per me, ma faticava ad accettare che mi fossi emancipata dal suo campo d’azione. Oltre al fatto che ambiva, negli ultimi anni, a una perfezione irreale che lo irretiva. Abbiamo un archivio pieno di brani recenti di cui aveva fermato la pubblicazione, continuava a farli e disfarli, nulla andava mai bene. Da piccola, insieme ci siamo divertiti da matti. Per lui ero uno spasso, una giovane figlia con uno spiccato senso musicale, adorante e pronta a tutto. Un’argilla da plasmare. Ovviamente, come è giusto che sia, a un certo punto il gioco è finito e ho cominciato a cercare la mia strada. Lui non ha mai digerito del tutto questo distacco. Quando decisi di registrare Restiamo amici, gli chiesi come avrei dovuto farlo… la risposta fu semplice: “come dico io!”. Una sera siamo riusciti a parlarne con un minimo di calma e mi ha spiegato che avrebbe voluto che la cantassi in modo straziato, carico di pathos e vibrato, da donna ferita che non dimentica un amore sbagliato. Gli spiegai che non era da me, sarei stata finta a interpretarla così. La prima versione del brano, come previsto, non gli piacque. Conseguentemente, sono tornata in studio un paio di volte con Manuel e, nel frattempo, ho mandato in stampa la stesura che non gli andava a genio. Dopo aver ascoltato il disco finito, in uno degli ultimi momenti di vita, papà mi ha detto “brava, adesso sì che l’hai cantata come dicevo io”».
Che il grande tastierista fosse una persona di buonumore, lo confermano le sue tante testimonianze facilmente rinvenibili. Memorabili in tal senso gli esordi ai tempi delle balere, di cui ricordava la durezza delle situazioni quando capitava di suonare in contesti così disagiati al punto che non essendoci il pianoforte doveva adattarsi alla fisarmonica. Quel periodo giovanile che trascorse con musicisti eccelsi, nonché futuri colleghi come il leggendario clarinettista e direttore orchestra Hengel Gualdi, lo rammentava tanto difficile e svilente da un lato, quanto allegro e formativo dall’altro rivendicandone l’importanza. Gli anni in cui Zavallone fu impegnato in lunghe trasferte in macchina in otto persone fin nel mantovano, reggiano e cremonese, con retribuzioni bassissime e come soleva ricordare «suonando in certi posti dove stavi con il fango a mezza gamba», furono il preludio alla parte più rilevante della carriera, che arriverà con l’ingresso a Radio Rai insieme a tanti altri progetti. Tra i quali va citata la direzione artistica della Polaris, label nata nel 1970 come sussidiaria dell’etichetta Cgd, a capo della quale c’era proprio Bruno Pallesi. Tra gli artisti annoverati nel roster spiccavano oltre Wilma De Angelis e il duo comico Gigi e Andrea, il gruppo cabarettistico La Smorfia con Massimo Troisi, Enzo De Caro e Lello Arena che, oltre ad essere rintracciabili alle spalle di Zavallone nel meraviglioso video di Amada mia amore mio, trovarono la loro affermazione nei programmi televisivi La Sberla e Non Stop, ovverosia le trasmissioni di cui El Pasador scrisse le sigle che lo imposero sul piccolo schermo. E mentre il 45 giri di Amada mia amore mio vendeva oltre venticinque milioni di copie, valicando le frontiere e risultando ancora oggi uno dei brani più ascoltati di sempre in Germania, Zavallone trovava il tempo per dirigere l’orchestra a Sanremo. Nel frattempo stava per avviare il suo percorso televisivo dedicato agli under 18. L’occasione giunse mentre lavorava per Rai 1 al programma TV Top. Gli venne proposto di aiutare dei ragazzi che stavano registrando presso l’Antoniano di Bologna; in quella circostanza vide luce la sigla Papà ha la bua dove canta una giovanissima Cristina, che così rammenta quei momenti: «Mi diceva “fammi vedere come la canti”. Usava il verbo vedere perché era una questione di espressione del viso e ci divertivamo a mimare il brano allo sfinimento. Quell’imprinting mi è rimasto. Imparare una cosa vuol dire per me padroneggiarla e concentrarmi sul lato espressivo».
La strada era aperta: El Pasador grazie alla collaborazione con l’Antoniano divenne l’arrangiatore dei cori dello Zecchino d’Oro, mentre la fidata Mariele Ventre gestiva i bambini. Anche Cristina, seppur non direttamente, fece parte di quell’esperienza: «Come dissi a Paolo Fresu quando mi telefonò per realizzare nel 2021 l’album PopOFF! dedicato alle canzoni dello Zecchino d’Oro, personalmente non ci ho mai cantato per scelta di papà. Lo feci tempo dopo, eseguendo brani in veste di solista delle Verdi Note, gruppo formato da ex cantanti del Piccolo Coro».
Zavallone è stato un valente musicista, capace di passare dai palchi con Chet Baker alle sue formidabili band con vari nomi e incarnazioni. Tra i suoi 33 giri va segnalato l’ottimo soul funk melodico di Madrugada (Polaris). Il tutto, come sottolinea Cristina, sempre con grande allegria: «La sua intelligenza si manifestava in un’ironia tagliente e velocissima che adoravo. La usava come metro per misurare le persone. Chi rispondeva a quel tipo di messaggio, conquistava all’istante la sua simpatia. L’ironia era per mio papà anche un modo per sdrammatizzare una profonda cupezza d’animo, come i grandi clown che sono in realtà creature tristissime. Era il nostro canale di comunicazione privilegiato. Quante risate ci siamo fatti insieme».

TUTTO IN UNA «E»
Nome reale Paolo Zavalloni, divenuto poi Zavallone per assonanza con Renato Carosone e Fred Buscaglione. La storia racconta che sul finire degli anni Cinquanta, mentre era a Roma per delle trasmissioni televisive si trovò a lavorare con il trombettista Al Korvin. Quest’ultimo, gran musicista autore tra l’altro di Lara’s Theme per il film Il Dottor Zivago, per errore scrisse nel bollettino di ingaggio Zavallone e nonostante le divertite rimostranze del compositore romagnolo rimase il cognome d’arte. Tra le tante incisioni è d’obbligo ricordare a nome El Pasador l’album Amazonas del 1976 contenente la hit Amada mia amore mio. Notevole la storia del singolo Sherlock Holmes suonato dai Complotto e scritto da Zavallone assieme ad altri: fu sigla dell’omonimo cartone animato, coproduzione Giappone e Italia, trasmesso in Rai nel 1984 con la regia per sei puntate del leggendario Hayao Miyazaki.

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