Visioni

«El Paraíso», amori disfunzionali nella Roma criminale

«El Paraíso», amori disfunzionali nella Roma criminaleUna scena del film

Al cinema Il nuovo film di Enrico Maria Artale, premio per la Miglior sceneggiatura (firmata dal regista) e per la Miglior interpretazione femminile a Margarita Rosa De Francisco nella sezione Orizzonti a Venezia. Anche un ottimo Edoardo Pesce in una storia di sentimenti claustrofobici

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 6 giugno 2024

Julio Cesar è un uomo sulla quarantina, lavora per uno spacciatore e abita in una casa vicino al fiume nei pressi di Fiumicino, estraneo al caos della grande città. Non è un emarginato dagli altri e nemmeno un eremita per consapevole scelta. La via che finora ha percorso lo ha condotto d’inerzia ai confini della pluralità. Nonostante l’attività criminale, infatti, la sua vita non appare elettrizzante e segnata dal pericolo. I suoi giorni scorrono l’uno dopo l’altro ordinariamente.

CONDIVIDE ogni momento della sua esistenza con sua madre, di origine colombiana e priva di documenti che ne accertino la reale identità. Tanto è esplosiva e vitale la donna, quanto dimesso e poco reattivo il figlio. Come due calamite, a seconda della posizione assunta, possono attrarsi o respingersi. Ad ogni modo, nel loro orizzonte non è prevista una cesura. Nemmeno quando arriva Ines, una corriera che trasporta dentro il proprio corpo ovuli di cocaina. In effetti, alcuni equilibri sembrano cambiare. Julio Cesar inizia a porsi delle domande, a interrogarsi sulla propria esistenza e su quei demoni repressi che potrebbero portarlo a una ribellione, a quell’emancipazione mai compiuta. Ma le risposte non sono così chiare.

PRESENTATO alla recente Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti, El Paraíso di Enrico Maria Artale ha ricevuto i premi per la Miglior sceneggiatura (firmata dal regista) e per la Miglior interpretazione femminile a Margarita Rosa De Francisco. Al di là dei riconoscimenti, il film è ben realizzato e interpretato. In particolare da Edoardo Pesce che, peraltro, ha lavorato al soggetto.
Julio Cesar e sua madre sono tessere di un mosaico che racconta una mancata indipendenza, un amore disfunzionale, un dolore che non si placa. In questa dualità, non necessariamente simmetrica, le relazioni si trasformano in qualcosa di soffocante e claustrofobico. E, da questo punto vista, i due protagonisti sono stati molto bravi nell’esprimere questa assenza di apertura al possibile. Meno riusciti appaiono i comprimari, più strumentali e vincolati alle esigenze narrative.
Artale, a dieci anni da Il terzo tempo (opera prima presentata sempre a Orizzonti), per certi versi ha diretto un lavoro speculare a Saro, il documentario autobiografico con il quale nel 2016 si aggiudicò un premio al Festival di Torino. In quel caso, si trattava di un figlio in cerca di un padre sconosciuto. Un altro modo di indagare l’essere e il non essere insieme, e di scoprire che talvolta affermazioni e negazioni non colmano le voragini della vita.

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