«El chamaco», Messico anni ruggenti
José Miguel Covarrubias, "Balinesa con turbante rosa en la playa", 1937, collezione privata
Alias Domenica

«El chamaco», Messico anni ruggenti

Riscoperte nell'arte: José Miguel Covarrubias Accanto agli eroi del muralismo e alle passionarie intimiste, una miscela di sapori: caricaturismo déco, esotismo, recupero dell’arte precolombiana...
Pubblicato circa un anno faEdizione del 3 settembre 2023

Nel vivace panorama artistico del Messico postrivoluzionario, accanto agli eroi del muralismo e alle passionarie intimiste, si colloca defilata la figura di José Miguel Covarrubias Duclaud (Città del Messico, 1904-1957). Caricaturista e illustratore negli Anni ruggenti, Covarrubias ha poi praticato da autodidatta l’antropologia e l’archeologia, fornendo un considerevole apporto al progresso di queste discipline nel proprio Paese.
Nato in una colta famiglia borghese di Città del Messico, Miguel abbandona la scuola all’età di quattordici anni per dedicarsi liberamente al disegno; inizia a frequentare i ritrovi di artisti e intellettuali, e si fa notare per le doti di caricaturista guadagnandosi l’affettuoso nomignolo di el chamaco, «il ragazzo». Pubblica le prime opere su un periodico studentesco e nel 1923 Adolfo «Fito» Best Maugard lo coinvolge come illustratore nella produzione di El metodo de dibujo, libro con prefazione dell’autorevole poeta José Juan Tablada. Quella stessa estate, proprio su incoraggiamento di Tablada, Miguel si trasferisce a New York, dove malgrado la scarsa padronanza della lingua inglese non fatica a inserirsi nel fermento locale.

Conosce il fotografo Carl Van Vechten, che lo introduce ai raduni del cosiddetto Rinascimento di Harlem, il fenomeno di fioritura della cultura popolare afroamericana. Covarrubias ne rimane affascinato, si immerge in lunghe sessioni di disegno nei nightclub dove suonano blues e jazz, fraternizza con scrittori e musicisti di colore. Incontra Frank Crowninshield, direttore di «Vanity Fair», rivista per la quale a partire dal gennaio 1924 esegue caricature e illustrazioni. È l’abbrivio di una carriera di successo che si estende anche alla grafica pubblicitaria, ai costumi e alla scenografia.

José Miguel Covarrubias, 1926, foto di Edward Weston, Londra, National Portrait Gallery

Nell’ottobre 1925 dà alle stampe il volume The Prince of Wales and other famous americans: una rassegna caricaturale di celebrità dello spettacolo, dello sport e della politica. Eseguite con tratto svelto, finemente déco, le caricature denotano l’abilità di cogliere il carattere del soggetto con ironia ma senza crudeltà. Nel 1927 esce Negro Drawings, una raccolta di disegni che celebra la vitalità degli afroamericani, mentre al 1928 risale l’inizio della collaborazione con Corey Ford, che negli anni trenta sfocia in Impossible Interviews, serie umoristica apparsa su «Vanity Fair» nella quale gli autori si divertono a far dialogare tra loro personaggi poco conciliabili – ad esempio, Stalin e la stilista Elsa Schiaparelli.

Covarrubias «fa soldi a palate», commenta invidioso Orozco. Se infatti nel 1924 el chamaco vendeva le prime tavole realizzate per «Vanity Fair» a 5 dollari l’una, nel 1928 un suo disegno arriva a costarne 300, cioè più di un originale di Picasso.

Conosce la ballerina statunitense Rosa Rolanda, alias Rosemonde Cowan Ruelas, e se ne innamora. Con lei nel 1927 visita Cuba, Parigi e il Nord Africa. Tra i tanti amici che la coppia frequenta nei ricorrenti soggiorni in Messico ci sono Diego Rivera e Frida Kahlo, Orson Welles e Dolores Del Río, Edward Weston e Tina Modotti. Cosmopoliti attratti dall’esotico, Miguel e Rosa si sposano nel 1930 e partono per Bali. È un’esperienza per entrambi proficua: Miguel studia la lingua e la cultura del luogo, mentre Rosa scatta fotografie e apprende le tradizioni culinarie. Prima di rientrare in America fanno tappa a Parigi, dove André Gide esorta Miguel a scrivere della sua avventura nelle Indie Orientali. Bali segna in effetti uno snodo cruciale nella vita dei Covarrubias. Per Miguel è lo stimolo a produrre con regolarità opere di pittura e, soprattutto, a riconsiderare l’arte come espressione collettiva di un organismo sociale. Si applica per oltre un anno alla stesura di Island of Bali, saggio antropologico di taglio divulgativo corredato da fotografie di Rosa e da opere sue e di artisti balinesi. Presentato nel 1937, il libro ha un ottimo riscontro di pubblico.

Nel 1937 viene incaricato della realizzazione di alcune opere murali da esibire nell’ambito della Golden Gate International Exposition, che si tiene tra 1939 e 1940 a San Francisco. Miguel propone sei grandi mappe che descrivono le attrattive di altrettante zone dell’Oceano Pacifico, eseguite su tavole di masonite con lacca Duco diluita in solvente a base nitrocellulosica: una tecnica sperimentale con cui ottiene una finitura lucida, resistente e impermeabile. In seguito si cimenterà ancora a più riprese nella creazione di mappe murali; ad esempio, per l’atrio dell’Hotel del Prado (distrutte da un terremoto nel 1985), per il Museo Nacional de Artes e Industrias Populare e per il bar del Ritz Hotel a Città del Messico.

Nel corso degli anni trenta, spronato dall’esempio di Rivera, affina l’interesse per le civiltà precolombiane; torna spesso a visitare la necropoli di Tlatilco ed esplora la regione dell’istmo di Tehuantepec. L’archeologia diventa un’occupazione seria, con implicazioni legate alla riappropriazione ideologica del passato nazionale autoctono caldeggiata dal potere federale. Da tali premesse scaturiscono un volume consacrato all’antico Messico (Mexico South: The Isthmus of Tehuantepec, 1946) e un ambizioso saggio sulle popolazioni indigene americane basato sull’ipotesi di prolungati contatti in epoche arcaiche tra le civiltà di vari continenti affacciati sul Pacifico (The Eagle, the Jaguar and the Serpent. Indian Art of the Americas, 1954).

Nel 1940 Alfred Barr lo invita ad affiancare René d’Harnoncourt nell’organizzazione di una mostra da inaugurare al MoMA di New York quello stesso anno, Twenty Centuries of Mexican Art. L’esposizione racconta due millenni di storia attraverso migliaia di oggetti e invade perfino il cortile del museo con gigantesche statue precoloniali e un mercatino folkloristico. Covarrubias è responsabile della sezione di arte moderna, ma nel contempo disegna per «Vogue», raccoglie materiali per il suo prossimo libro, commemora il volo transoceanico di Lee Ya-Ching, presenzia al primo Congresso indigenista interamericano, lavora alle illustrazioni di The Discovery and Conquest of Mexico e aiuta John Steinbeck a girare un film.

In ogni sua iniziativa Miguel è un entusiasta, tanto attento alla qualità dei risultati quanto indifferente alle scadenze; accetta in maniera quasi bulimica nuovi impegni ma non valuta mai con razionalità i carichi di lavoro, così disattende ripetutamente le consegne e non risponde ai solleciti esasperati dei committenti. Per giunta, tende a trascurare le attività più remunerative a favore di quelle che sul momento sente più stimolanti.

Nel corso degli anni quaranta la passione per le ricerche antropologiche e archeologiche prevale sul lavoro di illustratore e pittore, che pure resta la sua principale fonte di reddito. Matthew Stirling, capo dell’equipe di scavo presso il sito olmeco Cerro de las Mesas, dice di lui: «se non fosse per la fama di caricaturista, pittore e scrittore, Covarrubias verrebbe ricordato come uno dei massimi esperti di archeologia ed etnologia messicana». Grazie all’intuito nell’analisi estetica della forma, Miguel riesce infatti a dare un contributo importante alla comprensione della civiltà olmeca. Collabora con l’Instituto Nacional de Antropología y Historia, partecipa al riordino del Museo Nacional de Antropología e alla realizzazione delle mostre Máscaras mexicana (1944) e El arte indígena de Norteamérica (1945). Dal 1943 svolge attività di docente per i corsi di arte e storia precolombiana presso la Escuela Nacional de Antropología; qualche anno più tardi partecipa ai primi percorsi di formazione specialistica in museografia e gestione museale.

Nel 1950 Carlos Chávez, direttore dell’Instituto Nacional de Bellas Artes, pone Covarrubias a capo della neonata Escuela de Danza, sull’assunto che la danza è parte sostanziale dell’identità culturale messicana. Nei due anni in cui rimane in carica, Miguel si occupa di strutturare la didattica e promuovere la rappresentazione di trentaquattro balletti, per alcuni dei quali disegna costumi e scenografie. In questa impresa risultano determinanti le competenze e il supporto di Rosa.

D’altronde, è proprio alla Escuela de Danza che Miguel si lega alla giovane ballerina messicana Rocío Sagaón. Nel 1954 Covarrubias decide di separarsi da Rosa per stabilirsi con Rocío; ne consegue un periodo di tensioni che si ripercuotono in modo fatale sulla salute di Miguel.

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