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Egitto e Sudan, no ai rimpatri

Diritti umani È necessario disporre di informazioni precise sulla situazione giuridica di ciascuna delle persone, prima di rispedirle nel paese d'origine

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 24 agosto 2016

Da notizie diffuse in queste ore apprendo che, tra domani e dopodomani, è previsto un volo dall’Italia diretto a Khartoum, con scalo a Il Cairo, per riportare a casa i migranti egiziani e sudanesi che non hanno trovato accoglienza in Italia. Si tratta di due paesi, l’Egitto e il Sudan, in cui la tutela dei diritti umani non è garantita, come dimostrato anche dalla cronaca recente.

Nel caso si trattasse di rimpatri volontari assistiti, ciò sarebbe il segnale di una possibile ripresa della politica italiana in materia di immigrazione e di cooperazione internazionale. Ma se così non fosse, e i rimpatri fossero coatti, sarebbe necessario disporre di informazioni precise sulla situazione giuridica di ciascuna delle persone rimpatriate. Pensiamo al Sudan, a quanto sia ancora drammatica la situazione in quel paese e al numero consistente di richiedenti asilo sudanesi che in Italia – e più in generale in Europa – ricevono forme di protezione: nel 2015 il 60% delle richieste d’asilo di persone d’origine sudanese sono state accolte. E pensiamo all’Egitto, dove le violazioni dei diritti umani e delle garanzie fondamentali della persona rappresentano una pratica quotidiana e sistematica, documentata e denunciata dalle grandi agenzie internazionali e da tutte le ong.

Proprio alla luce del grande sforzo fatto dal nostro paese per accogliere e tutelare i profughi che attraversano il Mediterraneo, non possiamo correre il rischio di rimpatriare nessuno senza adeguate garanzie sulla sua incolumità, anche fosse una sola persona.

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