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Egitto, anniversario con scioperi

Egitto, anniversario con scioperi

Egitto A due anni dal golpe militare il sindacalismo indipendente si impegna su lotte locali dopo il divieto di sciopero imposto dal governo. L’esercito va all’attacco dei cementifici di el-Arish, mentre il governo punta su una politica liberista e a favore degli strati più ricchi, come dimostra l’eliminazione della tassa sui redditi milionari. Si tratta di una chiara predilezione del regime per i potenti gruppi di affari, a scapito delle fasce più deboli della popolazione

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 3 luglio 2015

Il grande movimento di massa degli ultimi quattro anni in Egitto ha coinciso con imponenti e diffuse contestazioni operaie. Gli scioperi nelle fabbriche hanno davvero messo alle strette il regime. Tutti i momenti chiave della storia egiziana recente dalla destituzione di Mubarak al golpe militare, fino alla fine del primo governo ad interim, sono state precedute da imponenti mobilitazioni nelle fabbriche.

Neoliberismo

Le cose peggiorano. A. (lo chiamiamo così, ndr), attivista vicino al movimento operaio, boccia il regime militare senza mezzi termini. «La politica economica di al-Sisi è la più neo-liberista mai sperimentata dall’Egitto, rappresenta l’apice del processo avviato da Sadat e poi proseguito negli ultimi disastrosi vent’anni della presidenza Mubarak», ci assicura. Agli occhi di molti osservatori non è chiaro quanto questa direzione sia frutto di una precisa strategia del regime militare del Cairo o piuttosto una scelta forzata dalla necessità di rinsaldare i legami con le élite capitaliste nazionali e internazionali, vitali per attirare investimenti. Sta di fatto che misure come l’eliminazione della tassa sui redditi milionari e la riduzione dell’aliquota massima di tassazione al 22,5%, per citare solo le ultime, danno il polso di una chiara predilezione del regime per i potenti gruppi di affari a scapito delle fasce più deboli della popolazione.

Il decantato «ritorno alla stabilità», ottenuto al prezzo di migliaia di morti in piazza, arresti e condanne di attivisti, non si è tradotto in crescita economica, come promesso dagli autori del golpe, e il clima che si respira oggi, soprattutto tra i giovani che speravano nella ripresa economica, è di profonda rassegnazione. Gli attacchi del regime ai lavoratori e alle libertà sindacali sono sempre più determinati. È del 28 aprile scorso la notizia di una sentenza dell’Alta corte amministrativa che rende illegale lo sciopero e costringe al pensionamento forzato i lavoratori condannati con questa accusa. Lo scorso 2 giugno, un veicolo militare ha aperto il fuoco su un sit-in di operai che chiedevano un’ambulanza per un compagno ferito sul lavoro, in un cementificio di proprietà dell’esercito ad el-Arish, nel Sinai.

L’attacco si è concluso con la tragica morte di un lavoratore e il ferimento di altri tre, e rappresenta un preoccupante segnale del livello di intolleranza dei militari verso le mobilitazioni dei lavoratori. Dopo questo episodio si è tenuta un’assemblea a cui ha partecipato anche un alto ufficiale che tentava di placare gli animi degli operai. «Quella divisa che voi portate è di nostra proprietà. Vogliamo un’inchiesta sull’accaduto, vogliamo essere trattati come esseri umani», gli ha urlato uno dei contestatori.

Crisi e mobilitazioni

«L’esercito vuole far passare il concetto che la rivoluzione sia finita con la caduta di Mubarak e che oggi le proteste operaie rappresentino solo rivendicazioni corporative contrarie all’interesse nazionale», aggiunge B. (lo chiamiamo così, ndr). Tale visione è supportata anche dal sindacato unico Etuf (Federazione egiziana dei sindacati), che in occasione delle celebrazioni della Festa del lavoro presso l’Accademia di polizia, ha consegnato al presidente al-Sisi un «codice di condotta» in cui esprime il «rifiuto degli scioperi», si impegna al dialogo con governo e imprenditori e denuncia la «politicizzazione del sindacato», con riferimento al movimento sindacale indipendente.

La Federazione egiziana dei Sindacati indipendenti (Efitu – prima nella storia del paese, fondata simbolicamente in piazza Tahrir a pochi giorni dall’inizio delle rivolte anti-Mubarak), è già stata protagonista di lunghe stagioni di scioperi e mobilitazioni, ma vive oggi un periodo di crisi. Uno spartiacque decisivo è stato proprio il golpe del 3 luglio 2013, apertamente appoggiato da alcuni dei leader più importanti di Efitu. La frattura aperta in quel frangente si è andata ad aggiungere ad altre difficoltà e limiti preesistenti. «Nonostante possa contare su una lunga esperienza in scioperi e mobilitazioni, il movimento dei lavoratori non ha avuto tempo e modo di maturare le capacità necessarie a costruire e gestire organizzazioni sindacali», ci dice C. (lo chiamiamo così, ndr) dell’Egyptian Center for Economic and Social Rights (Ecesr), think tank dell’avvocato comunista Khaled Ali. A questo si aggiungono le grosse ambiguità nel quadro giuridico che regola la costituzione dei sindacati, gli impedimenti burocratici per ottenere un riconoscimento legale, e i problemi finanziari a cui questi vanno incontro.

«Molti lavoratori hanno paura delle conseguenze economiche per chi lascia la federazione ufficiale (Etuf): il rischio è quello di perdere le quote versate per anni nelle casse del sindacato, e con esse dover rinunciare ad una buonuscita che può arrivare anche a 100mila ghinee (l’equivalente di quasi 12mila euro)», considera D. (lo chiamiamo così, ndr) del German Institute for International and Security Affairs di Berlino.

Repressione

Difficoltà organizzative e repressione fanno sì che le proteste operaie vengano organizzate su base locale, con rivendicazioni limitate e a breve termine, senza l’articolazione di una strategia comune. Anche le accuse di sabotaggio e terrorismo nei confronti dei sindacati indipendenti si sono fatte frequenti dopo la deposizione di Morsi, ma in maniera più leggera rispetto a quanto accaduto agli ordini professionali, teatro di vere e proprie epurazioni ai danni dei sindacalisti vicini alla Fratellanza musulmana.

Nonostante le pressioni sul sindacato, secondo un rapporto del Mahrousa Center, le proteste operaie nei primi mesi del 2015 sono state 393, un numero che indica sì una flessione rispetto agli anni precedenti ma che in realtà dimostra un livello piuttosto alto di conflittualità nei luoghi di lavoro.

La stampa indipendente e le ong che si occupano di diritti sociali riportano ogni giorno notizie di proteste, marce, scioperi e occupazioni sui luoghi di lavoro, senza contare i numerosi conflitti aperti nelle campagne tra contadini e gruppi di affari per l’accesso alla terra e alle risorse idriche. Nonostante la puntuale risposta violenta degli apparati di sicurezza e la chiusura dello spazio politico, la rilevanza del fenomeno testimonia forse la più grande conquista della cosiddetta «Primavera egiziana» e dei movimenti sociali che l’hanno animata: il superamento delle paure e una maggiore disponibilità a protestare e organizzarsi di fronte alle violazioni dei diritti.

Per questo si dice ottimista G. (lo chiamiamo così, ndr), tra i primi animatori del movimento sindacale indipendente, membro del consiglio direttivo della Federazione democratica dei lavoratori (Edlc). Lo incontriamo nella sede del Centro servizi per sindacati e lavoratori (Ctuws), a pochi passi da piazza Tahrir. Lo troviamo indaffarato mentre detta il testo di un volantino a un altro attivista che batte alla tastiera le parole del compagno più anziano. G. (lo chiamiamo così, ndr) oggi si occupa di girare in lungo e in largo l’Egitto per tenere seminari di formazione diretti a lavoratori e contadini che intendono costituire sindacati indipendenti sui posti di lavoro o nei villaggi. «Il movimento crescerà, sono fiducioso», ci assicura sfoderando un grande sorriso.

–> nota ai lettori: alcune identità delle persone citate in questo articolo sono state rimosse dalla redazione

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