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Eftimios, l’ho cullato tutta una notte

Fulmini e saette Eftimios 9/41. L’ho cullato tutta una notte ma non l’ho preso in braccio. Aveva pochi mesi, era il millenovecentosettantuno. Alexandra l’aveva partorito al Policlinico Gemelli, a Roma, e dopo due […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 4 agosto 2018

Eftimios

9/41. L’ho cullato tutta una notte ma non l’ho preso in braccio.

Aveva pochi mesi, era il millenovecentosettantuno.

Alexandra l’aveva partorito al Policlinico Gemelli, a Roma, e dopo due mesi era ripartita per Bono, in provincia di Sassari, in Sardegna. Insegnava matematica e scienze nella scuola media di quel paesino dell’entroterra, del quale ricordo solo la casa dove abitava una stanza, la proprietaria in nero che una sera fece il ‘carasau’, il pane leggero come un piatto croccante come un bacio di mattina, e la lattuga croccante pure lei: quando le versavi sopra un filo d’olio subito s’invenava del verde della clorofilla che teneva dentro.

Alexandra. Era andata incinta di lui di sette mesi, tornava con lui di due mesi. Orgogliosa, ‘perìfani’ dicono a Cipro i parlanti greco. Mi raccontò, un giorno, dopo, che i ragazzi e le ragazze, per metterla in difficoltà, questa professoressa del Continente, avevano cominciato a parlare tra loro in dialetto sardo. Lei aveva lasciato fare per un po’, poi aveva tenuto un’intera lezione di matematica in lingua greca. I ragazzi e le ragazze avevano capito al volo, e da quel giorno le portavano rispetto.

Eftimios aveva pochi mesi. Cresceva come tutti i bambini del mondo e mangiava tanto, voleva crescere in fretta, come tutti i bambini del mondo. Troppo. Aveva tanta fame, di latte, di sole, di mondo, di vita. Ero andato a trovarli per pochi giorni, allora lavoravo a ore in uno studio tecnico di architettura a Roma, non avevo ancora un lavoro stabile. Disegnatore di giorno, modello la sera. Ma per poco. L’ultima sera, all’Accademia Americana sul Lungotevere, durante una pausa, dissi due parole pertinenti ai disegnatori ed il professore mi congedò sottolineando che mi pagavano per tacere.

L’ho cullato tutta una notte, Eftimios, che voleva ancora mangiare ma non poteva, per via della diarrea, l’ho cullato per fargli capire che ero lì al suo fianco, ma non l’ho preso in braccio. Fermezza. Educazione alla fermezza. Quante cose gli ho negato in sedici anni? Quante parole sue non ho ascoltato? Quante non ne ascolti tu, quante non ne ascolterai, dei figli che tieni, dei figli che non avrai?

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