Poche ore per trovare un accordo a 28 sul clima e la riduzione di emissioni a effetto serra nell’Unione europea. Il Consiglio europeo, riunito fino ad oggi a Bruxelles – si conclude con un pranzo della zona euro dedicato alla crisi – deve recuperare il tempo perso dalla scorsa primavera, quando una decisione sul pacchetto Energia-clima, presentato dalla Commissione, era stata rimandata per mancanza di accordo. La tensione permane, l’intesa è difficile da trovare, troppi interessi sono in ballo, anche se l’emergenza è all’ordine del giorno. L’industria pesante tedesca, per esempio, ha affermato ieri che se la Ue deciderà da sola (cioè senza accordo con i primi due responsabili delle emissioni a effetto serra, 29% per la Cina, 16% per gli Usa, contro l’11% per la Ue), ci saranno perdite di miliardi di euro per l’industria europea. La Commissione vorrebbe che la Ue continuasse ad essere la prima della classe al mondo per la lotta contro il Co2: ma manca un progetto preciso, al di là delle parole che promettono vantaggi per l’economia. Un gruppo di economisti, con una lettera aperta, appoggia l’approccio di Bruxelles, sostenendo che è l’ “occasione per riorientare gli investimenti” verso un’economia meno produttrice di Co2. Inoltre, la crisi ucraina e le tensioni con la Russia – che esporta nella Ue per 140 miliardi di gas e petrolio, una buona fetta dei 400 miliardi di euro di import – spinge la Ue a cercare un’intesa. La Francia preme: a Parigi ci sarà nel prossimo dicembre il summit Onu sul clima e Hollande, che pensa che si sia “un accordo in vista”, vuole presentarsi come l’ambasciatore della Ue per convincere Usa e Cina.

Il pacchetto Energia-clima propone una riduzione delle emissioni ad effetto serra della Ue del 40% entro il 2030 (rispetto al 1990), una riduzione dell’utilizzazione di energia del 30% (“efficacia energetica”), con il ricorso alle rinnovabili per il 27% (oggi è del 12,7%). Il pacchetto è un proseguimento degli impegni già presi – meno 20% di Co2 entro il 2020 – ma la realizzazione è contrastata, con molti in ritardo su questa prima tabella di marcia: complessivamente, la Ue ha ridotto del 18% le emissioni a effetto serra, ma alcuni paesi, tra cui l’Italia, devono accelerare per rispettare gli impegni. Il principale accusato sul banco degli imputati è la Polonia: Varsavia ha persino minacciato di porre il veto sul pacchetto Energia-clima, perché recuperare il tempo perso sarebbe troppo costoso, malgrado la promessa dei paesi più ricchi di cedere gratuitamente ai più poveri il 10% dei diritti sulle quote di Co2, vendute all’asta nell’ambito del mercato europeo. La Polonia ha già ricevuto molto aiuti, ma resta dipendente dal carbone per l’80% del suo consumo di energia. Francia, Germania e Gran Bretagna si presentano come i paesi più decisi ad agire, ma non hanno costituito un fronte comune. La Francia raggiunge un buon voto sulla produzione di Co2 perché ha il nucleare, una scelta non proprio raccomandabile. La Germania continua a far ricorso al carbone, anche se accelera sulle rinnovabili. La Gran Bretagna non ha nessuna intenzione di concentrarsi sull’efficacia energetica. Inoltre, c’è la questione dello shale gas: per il momento, la Commissione ha scelto raccomandazioni non vincolanti, per evitare irrigidimenti. Sui trasporti, anche la Francia dei Tgv sta perdendo colpi: dopo che il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron, ha consigliato di sviluppare la rete degli autobus per i “poveri”, perché meno cari, la Corte dei Conti ha accusato ieri il treno ad alta velocità di non essere sempre “competitivo”, affermando che la Sncf ha moltiplicato le linee con costi non sempre sostenibili.