Eelco J. Rohling insegna Oceanografia e cambiamenti climatici presso la Research School of Earth Sciences della Australian National University e, a Southampton, presso il National Oceanography Centre. Nel suo puntuale saggio Oceani Una storia profonda, appena pubblicato da Edizioni Ambiente (pp. 288, euro 24), declina con rigore le evidenze scientifiche che provano la funzione equilibratrice rivestita, all’interno del sistema climatico terrestre, dai grandi mari. Un’influenza salvifica, perché dall’inizio della Rivoluzione industriale hanno assorbito un terzo dell’anidride carbonica di origine antropica e abbattuto di oltre il 90% gli effetti del riscaldamento globale. Mentre preservare le risorse marine è al centro degli «Obiettivi di sviluppo sostenibile» previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, gli oltraggi fisici e chimici cui le abbiamo sottoposte negli ultimi due secoli ci avvicinano alla deriva definitiva di un punto di non ritorno.

Pesca a strascico; scarichi agricoli e industriali; acidificazione e anossia; scisti bituminosi sui fondali e piattaforme petrolifere in superficie. Il futuro non è ancora scritto, ma bisogna invertire la rotta. Lo sottolinea, a intervalli regolari, il professor Rohling, che risponde al manifesto dal suo studio di Canberra.

Sembra che l’Illuminismo sia in crisi e la razionalità umanistica non sappia più persuadere con argomenti logici. Che si parli di virus o di cambiamenti ambientali, l’emotività prende facilmente il sopravvento. Dobbiamo controllarla?
Le reazioni emotive appaiono preponderanti quando sono coinvolti notevoli attori della paura: impatti climatici eccezionali; una pandemia senza il rimedio di vaccini. La razionalità alla fine prevarrà, ma rischia di rimanere a lungo sottotraccia. L’ostacolo maggiore consiste nella dipendenza della società dal denaro e nell’accettazione generalizzata di un assunto: prendere scorciatoie può essere una ottima soluzione, se in cambio si guadagna di più. Ne consegue che i problemi restano intatti, anche dopo aver raggiunto un accordo di principio per affrontarli.
È curioso: ci piace incolpare la grande industria e i politici, sebbene in realtà siamo tutti coinvolti. Sappiamo che i combustibili fossili non fanno bene all’ambiente, ma percorriamo in auto anche distanze irrisorie. Sappiamo che le tasse sull’inquinamento sono necessarie, ma ci arrabbiamo quando il prezzo del carburante sale. Se vogliamo fare la differenza, dobbiamo concentrarci sul senso profondo del nostro benessere, recuperando un rapporto più intimo con il tempo. È un esempio limpido la resistenza dei giovani all’accettare il principio secondo il quale «così vanno le cose». Dobbiamo invece essere meno affamati di beni materiali e lusso. Si tratterebbe di un cambiamento emotivo o razionale? Le risposte emotive devono allinearsi meglio alla realtà, ma non sono meno importanti di quelle razionali. Abbiamo bisogno di entrambe.

Il suo libro ricorda che Jacques Piccard e Don Walsh raggiunsero la Fossa delle Marianne nel 1960, con un solo anno d’anticipo sul primo volo spaziale di Gagarin. «La Terra è blu», esclamò il cosmonauta vedendo tutte le nostre acque. Pensa che un’umanità esausta e claustrofobica possa trovare nuovo respiro nelle esplorazioni spaziali e oceanografiche?
Esplorare è essenziale per mantenere alto un sentimento di sorpresa nei confronti di quanto ancora ignoriamo e l’ignoranza ci deresponsabilizza. Un campo visivo ristretto dà un’impressione di onniscienza e onnipotenza. Un punto di vista ampio genera una prospettiva sana: l’altro è molto, molta è la cura da esso richiesta. Dall’esplorazione vengono alla luce interazioni e interconnessioni nuove, che ci insegnano ad apprezzare come determinati impatti possano riverberarsi attraverso il sistema fino a implicare conseguenze imponenti.

«L’ambientalismo senza lotta di classe è semplicemente giardinaggio», ha detto Chico Mendez. È possibile salvare gli oceani senza agire nel sociale?
È pura utopia aspettare che persone di ogni estrazione sociale e nazionalità la pensino alla stessa maniera sulle contromisure da impugnare. Certo, sarebbe opportuna un’ampia condivisione della direzione generale verso la quale procedere. Eppure, per cominciare, non è necessario mettere preventivamente d’accordo l’intera umanità. Nel frattempo dobbiamo educare, per garantire che il movimento cresca rapidamente. E comunicare.

Lei crede forse nella decrescita felice?
Il materialismo dilagante è ritenuto dalla maggioranza come l’unico percorso per conseguire la crescita, ma questa appare tale solo perché i costi nascosti dei danni – all’ambiente, alla salute, alla biodiversità – non sono inclusi nei calcoli. Qualora fossero considerati, non sarei così sicuro si concludesse nello stimare netta questa crescita. Al contrario, un modo alternativo di gestire la società non significherebbe affatto una decrescita. In un mondo in cui l’attenzione si concentri sul rispetto di noi stessi e dell’ambiente, la vera crescita può ancora avvenire. Semplicemente perché i costi nascosti dei danni arrecati sarebbero significativamente inferiori.

Affascinano alcune espressioni dal sapore caldo contenute nel suo libro: Terra a palla di neve, oceani Stranamore, l’evento ipertermico Elmo, che prende il nome da un pupazzo Muppet. È utile per uno scienziato pensare poeticamente?
Stupore e meraviglia sono il cardine della scienza. Sarebbe limitante dedicare la propria vita alla ricerca, se non potessimo trovare una ricompensa nella forza delle emozioni. È un piacere inseguire una buona descrizione, con parole giuste e precise: non dobbiamo trasmettere al pubblico soltanto la profonda natura dell’evento indagato, ma anche le sensazioni di piacere che hanno accompagnato l’indagine in sé. Infine, non bisogna mai dimenticare l’umorismo.

Gli oceani non hanno confini. Una disciplina come l’oceanografia può aiutarci a potenziare la cooperazione internazionale?
Lo spero davvero. Non possiamo salvare gli oceani e il meraviglioso ruolo che recitano nel sistema Terra, a meno che non diventiamo più illuminati. Nessuna nazione può riuscirci da sola. Però, ripeto, sarebbe sbagliato attendere un accordo internazionale all’unanimità per iniziare a occuparci seriamente degli oceani. Mettiamoci piuttosto subito a lavorare sodo, in modo tale l’ambientalismo diventi un merito agli occhi di tutti gli altri, che finiranno così per unirsi alla lotta.

Le piace la definizione di Antropocene, coniata dal Nobel per la chimica Paul Crutzen?
La maggior parte delle volte l’ho trovata utilizzata secondo un criterio che sottintende quanto siamo importanti noi umani. Per me è, invece, un termine triste, perché mette in risalto quanto siamo diventati dannosi in un arco temporale assolutamente breve.

Lo studio degli oceani suggerisce che stiamo vivendo nell’epoca della sesta estinzione di massa?
Sì. E speriamo non sia troppo tardi per fermarla. L’estinzione di fine Permiano – la terza – è forse l’unico episodio nei quattro miliardi e mezzo di storia della Terra per il quale potrebbe essersi verificata un’iniezione di carbonio esterno a velocità simili a quelle dovute alle emissioni causate dall’uomo. Certo è che, tra i sei maggiori eventi critici conosciuti, fu il peggiore: il 96% della vita marina e il 70% di quella terrestre scomparvero.