Educazione sentimentale in «piccolo»
Cultura

Educazione sentimentale in «piccolo»

Scaffale In un'atmosfera stralunata, Mariano Longo propone un libro intessuto di storie minute e fantastiche di passioni e dolori infantili
Pubblicato 4 mesi faEdizione del 9 luglio 2024

Il titolo del libro di racconti di Mariano Longo – Infanzie. Storie di bambini ribelli, tristi, stralunati (Progedit, pp. 112, euro 15) – offre al lettore una spessa narrazione dell’educazione sentimentale dei suoi piccoli protagonisti. Bambini ribelli e tristi certamente, sebbene sia l’ultimo dei tre aggettivi quello che meglio restituisce il tempo sospeso della narrazione. Non è, tuttavia, lo stile oniricamente barocco proprio della letteratura sudamericana a illustrare l’atmosfera stralunata che attraversa le pagine del libro, quanto piuttosto la profondità delle immagini che si fanno memorie sfumando i loro contorni nel momento stesso in cui divengono parola.

SE IL CENTRO della narrazione ruota attorno al perno esistenziale sedimentato attorno alla sorgente generativa dell’infanzia, è l’effetto straniante restituito dalla piccolezza oggettiva degli accadimenti unita alla loro essenzialità esistenziale a disegnare i contorni di pagine sospese tra il presente vivissimo delle esperienze infantili e la precosciente prefigurazione del loro significato. L’esito sospinge il lettore in una dimensione tanto poetica quanto drammatica, sempre iscritta nella molteplicità delle storie.

I bambini, infatti, sono gli unici protagonisti dei racconti ma la loro voce è quella di piccoli umani che rinnovano continuamente lo stupore del mondo. La capacità di agire una cifra stilistica personale è ciò che rende godibile la declinazione quasi favolistica di questo punto di raccordo, consentendo all’autore di affrontare di slancio un tema tanto ortodosso quanto insidioso. E così – tra bambini che si perdono nei pomeriggi d’estate giocando con i loro «eroi» preferiti e bambine «dagli occhi sghembi» felicemente orgogliose della loro piccola diversità – una rete di storie minute e quasi fantastiche dice di passioni e dolori infantili, parlando agli adulti attraverso una lenta e colorata prefigurazione del mondo.

Longo, del resto, non fa mistero della centralità del femminile nella generazione di vita e sentimento, fino a comporre un teatro di madri e nonne pudicamente presenti ma inevitabilmente impossibilitate a tacitare la richiesta di amore che l’interiorità ci comanda. Non vi è dubbio, infatti, che un tassello del libro sia inscritto in un’ulteriore prefigurazione infantile, ovvero in quella domanda di sé che è anche egoistica rivendicazione di autonomia. L’autore restituisce una fiducia ancestrale nella spontanea capacità di accompagnamento del femminile, di contro ad una faticosa lotta del maschile per sottrarsi alla fatica di un riconoscimento amorevole, come pure a volte accade nella sezione «Padri e figli».

IL LIBRO SI MUOVE, così, nel solco di uno stile pittorico e paesaggistico che restituisce un’Italia profonda – pienamente conciliata con la sospensione di tempo e spazio propria dell’infanzia –, laddove il limite del Padre coincide con la rappresentazione sociale del dovere racchiusa, ad esempio, nel racconto «Il segno, la voce». Il piccolo Marco, renitente alla scuola ma soprattutto alla parola scritta, capirà più avanti, nell’unica interpolazione dell’adulto scrittore che l’autore si concede, che «il segno senza voce era piacere eppure prigionia». Quella prigionia che Longo ci esorta a fuggire, leggendo i suoi racconti.

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