Già un paio di anni fa è entrato con la sua musica in un Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo. Ci doveva ritornare ma questa volta nell’ambito del Festival Udin & Jazz. Per il pianista Claudio Cojaniz l’occasione era propizia per presentare il suo nuovo cd Songs for Africa (Caligola) in compagnia di Alessandro Turchet al contrabbasso, Luca Colussi alla batteria e Luca Grizzo a percussioni e voce.

 

 

Il progetto è nato in collaborazione con l’associazione di cooperazione internazionale Time for Africa e il ricavato andrà a finanziare un progetto educativo per le famiglie dei minatori di Marikana in Sudafrica. Invece il concerto che si doveva tenere il 7 Luglio nella caserma Cavarzerani, che ospita più di seicento profughi in gran parte provenienti dal Pakistan, è stato dirottato all’ultimo momento nella centrale corte di Palazzo Morpurgo. La prefettura non se l’è sentita di sovrapporre l’evento con l’arrivo di nuovi contingenti di profughi. Il luogo è stato teatro di una sommossa lo scorso marzo e oggetto di strumentalizzazioni leghiste con un’incursione di Salvini.
Il clima nel capoluogo friulano è incandescente, alimentato da una campagna razzista della destra che punta a beneficiare elettoralmente dell’insofferenza sempre meno trattenuta dei cittadini. Tempi difficili in quel nordest per anni governato dal centrosinistra e oggi sotto l’attacco concentrico di destre vecchie e nuove.

 

 

 

 

 

Proprio in questo contesto il pianista friulano aveva fortemente voluto esibirsi all’interno della struttura che accoglie i migranti: «Mi sembrava il luogo adatto al titolo e al contenuto di questo mio lavoro discografico. E per esprimere solidarietà non a parole ma con i fatti. Per me questa è una ’grande dedica’ e una presa di posizione chiara e precisa nei confronti di quello che sta succedendo. La mia è una adesione al cambiamento della vita. Dobbiamo trovare un sentimento profondo che ci aiuti ad essere pronti ad accogliere. Anche per evitare di dover dire tra vent’anni ’non lo sapevo’».

 

 

 

 

 

Nell’universo di Cojaniz l’Africa ha sempre avuto un ruolo di primo piano, dall’adesione estetica all’african piano di Dollar Brand/Abdullah Ibrahim a progetti monografici come Blue Africa in duo con il contrabbassista Franco Feruglio ( sempre edito dalla veneta Caligola che pubblica da tempo i suoi dischi tra i quali si segnala una bella trilogia per piano solo), fino a questo nuovo lavoro.
«Il disco inizia con l’esecuzione per piano solo dell’inno nazionale sudafricano Nkosi Sikelel’ iAfrika poi seguono mie composizioni originali registrate per la prima volta, tutte in quartetto. Ogni brano porta come titolo un luogo, una città, una nazione; al centro del lavoro sta Marikana, per ricordare la strage di minatori sudafricani in sciopero di alcuni anni fa. Tutti sono direttamente ispirati alle musiche africane. Una reinvenzione, al limite esotica, perché è quello che possiamo fare noi bianchi. In questa musica ci sono blues, jazz e Africa. Il Blues è la Madre, il Jazz è il Padre e noi tutti siamo figli dell’Africa. Separare blues e jazz non ha senso. Il jazz è l’elogio dell’imperfezione e dunque della vita. Uno dei tanti modi di conferire senso alla vita e la più grande forma d’arte del secolo scorso e anche di questo. È il coraggio di vivere e di sentire pietà. Potremmo dire addirittura che sia il futuro o comunque una speranza di futuro. In un mondo come il nostro, dove il conformismo al modello americano che obbliga a consumare e possedere ha pervaso tutto, l’Africa costituisce una sorta di ’educazione sentimentale’. Un modo di vivere con serenità interiore. In Africa non ci sono psichiatri mentre in Occidente siamo tutti depressi. Ho cominciato a conoscere la musica africana grazie ad Abdullah Ibrahim, Chris McGregor e Fela Kuti e da lì ho cominciato ad approfondire la mia ricerca. Penso che se l’Europa ha raggiunto i massimi livelli nell’armonia, da Bach a Monk, l’Africa abbia raggiunto gli stessi risultati nella poliritmia, la cui costruzione è così complessa che io la definirei l’Armonia Africana. Un’armonia in cui tutti danzano. La poliritmia accomuna tutta l’Africa nella sua enorme diversità, per questo per me è la speranza. Un mondo dove ogni chilometro cambia tutto: popolazioni, paesaggi, colori, odori. Come per il vino: è sempre uva ma è sempre diverso. Almeno fino a quando lo si fa con l’uva!»

 

 

 

 

Inevitabile chiosare sul rapporto tra jazz e politica.
«Credo nella musica impegnata come qualcosa che contenga tutti gli elementi della politica. Il mio impegno è suonare in ’ascolto al mondo’».
Dopo il prologo del fine settimana Udin & Jazz offre fino all’8 luglio la possibilità di ascoltare, in un programma ricco anche di bei nomi del jazz italiano come Massimo De Mattia e Francesco Bearzatti, una nutrita selezione di musicisti e musiche dall’Africa: dal desert blues di Bombino, all’ethio jazz di Mulatu Astatke fino agli anglo-sudafricani Shabaka and the Ancestors.