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Educare al gusto? Un lusso che il web rende fuori moda

Educare al gusto? Un lusso che il web rende fuori modaFotografia di Guido Guidi

Critica dove sei Davanti al rischio della fine o della marginalizzazione della critica, Thibaudet provò a interrogarne la gloriosa origine settecentesca e le sue funzioni, individuando tre orientamenti: la critica dei «maestri», quella degli specialisti e quella militante: una discussione

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 13 maggio 2018

L’attuale percezione che la critica letteraria – in quanto pratica intellettuale e campo disciplinare legittimati da un fruizione diffusa – si trovi a rischio di estinzione è certamente forte e giustificata. È un rischio sottolineato da numerosi allarmi risuonati per la prima volta tra le due guerre mondiali, dopo il prolungato silenzio dei decenni che hanno visto il tentativo – e l’illusione – di costruire una scienza «dura» della letteratura. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, sono tornati a farsi sentire, fino a diventare oggi assai frequenti e insistenti. «Si è fatto a meno per molto tempo della critica. Se ne può fare a meno ancora. Una parte d’Europa cerca di farne a meno con violenza e superbia», scriveva Albert Thibaudet nella sua Fisiologia della critica del 1929. Il pericolo che paventava è divenuto negli ultimi anni estremamente concreto, e ha finito col riguardare non più una parte, ma la totalità del continente (la stessa che a partire dal 1999 si è riconosciuta nel cosiddetto «processo di Bologna», istitutivo della European Higher Education Area).

Davanti al rischio della fine o della marginalizzazione della critica, Thibaudet provò il bisogno di interrogarne la gloriosa origine settecentesca e le funzioni basilari, individuando tre orientamenti fondamentali, che chiamò «critica dei maestri», «critica professionale» e «critica «spontanea». Se la prima, notava, è la critica praticata dagli stessi scrittori quando, ragionando sulla propria arte, formulano idee che espongono, chiariscono, giustificano le loro opzioni, proponendo in tal modo una prospettiva estetico-letteraria di ampio respiro, la «critica professionale» è invece quella di coloro il cui mestiere è leggere le opere traendone un sapere, sulla cui base poterle ordinare.
È dunque la critica degli specialisti universitari, realizzata da professori che si rivolgono alla totalità della storia della letteratura per inventariare e spiegare, interessandosi anzitutto a ciò che è classico e rivolgendosi al nuovo solo nella misura può divenirlo. La «critica spontanea», infine, è quella che si occupa specialmente del presente, delle opere attuali, e che compie tra esse una scelta in base all’emozione immediata, esprimendo così il gusto del giorno e proponendo – anzitutto nell’articolo giornalistico o nel saggio breve – una indicazione su ciò che vale la pena di essere letto.

Ci si può chiedere cosa ne sia oggi, al crepuscolo dell’epoca della carta, di questi tre orientamenti o modi della critica (che secondo Thibaudet costituiscono altrettante «tendenze viventi», talvolta intrecciate, piuttosto che meri compartimenti). Se sarebbe ancora possibile citare non pochi scrittori contemporanei capaci di elaborare testi critico-teorici che, grazie al loro nome, riescono bene o male a trovare accoglienza da parte dei cartelli editoriali e riscontro presso gli appassionati, le cose stanno diversamente tanto per la critica universitaria, i cui protagonisti faticano ormai a reperire spazi di pubblicazione indipendenti e non prezzolati, quanto per la critica «spontanea», riguardata da una robusta preminenza del web, dove però la necessità strutturale di un aggiornamento continuo fa sì che ogni intervento – commento o espressione di gusto che sia – venga subito reso obsoleto dagli interventi successivi; e poiché assai di rado si produce una reale discussione sulle ragioni dell’apprezzamento delle opere, sovente tutto si riduce a mera reazione, più che a interpretazione.

Le strategie di mercato adottate in Europa dalle nuove concentrazioni editoriali si sono sempre più indirizzate alla promozione di una letteratura di intrattenimento, caratterizzata da tecniche di scrittura relativamente elementari e da un registro medio o neutro, rispetto ai quali la selezione, la mediazione, l’educazione del gusto promosse dall’analisi storico-critica risultano in definitiva fuori luogo, perché non proficuamente attivabili e prive di un vero significato sociale.

A fronte di una simile situazione, valida per i testi contemporanei, ma evidentemente densa di conseguenze anche per la ricezione rinnovata di quelli del passato, occorre immaginare nuovi modi, stili, luoghi critici che – come ha suggerito Jean Starobinski, acuto lettore di Thibaudet in La relation critique – si mostrino capaci di una riflessione ampia e libera su ciò che, manifestandosi nei testi e nei modi della loro produzione, rinvia al tutto della vita e della società, e alla peculiarità delle strategie attuali della loro organizzazione.

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