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Eduardo e Servillo, coppia di azzardiProvoca sempre una certa emozione assistere alla messinscena di un testo di Eduardo De Filippo in quello che è stato il «suo» teatro, il San Ferdinando. Tanto più se lo spettacolo rappresentato è L’arte della commedia, testo tra i suoi ultimi, facente parte di quelli «dei giorni dispari», ovvero composti dopo la fine della guerra, e quindi in più stretto rapporto con la vita e la situazione di anni più recenti, lontani anche dalla «tradizione», di Napoli e di Scarpetta, quanto piuttosto frutto e specchio della contemporaneità e dei suoi problemi. Uno in particolare, ovvero il rapporto tra il teatro e il potere costituito. Che vuol dire la burocrazia, l’ordinamento di governo, e le relazioni obbligate con lo «stato» sospettoso, che diviene finanziatore e quindi con un diretto potere decisionale e di governance su quanto viene portato in scena. In quegli anni di primo centrosinistra (la data della commedia è il 1964, il primo governo con Dc e socialisti era stato formato solo l’anno prima) lo stato addirittura direttamente possedeva o gestiva (attraverso l’Ente teatrale italiano, Eti) molte e diverse sale in tutto il paese, e quindi il rapporto tra istituzioni e compagnie era particolarmente stretto, e ovviamente «gerarchico».

EDUARDO non fa una cronaca «contabile», ma elabora una sorta di autocoscienza di fantasia, raccontando quale possa essere, in un paese moderno della vecchia Italia, il rapporto tra il teatro (inteso come i teatranti che lo abitano e lo animano) e la pubblica autorità. In questo caso il prefetto, di una sonnacchiosa quanto «virtuosa» città di provincia. Il titolo del testo, L’arte della commedia appunto, diviene così quasi una dichiarazione di intenti, oltre che l’esibizione della propria identità, con le sue molte facce, gli ancor più numerosi travestimenti, e soprattutto con la dimostrazione della potenza di quelle identità che si moltiplicano e mutano nella sede augusta della prefettura, che dovrebbe essere il santuario civile della verità.
Nell’ultima andata in scena del testo che si ricordi, una ventina di anni fa circa, a confrontarsi nei ruoli del capocomico e del funzionario erano Umberto Orsini e Luca De Filippo, figlio di Eduardo. Ora un gruppo di attori, più giovane e di certo composito, ne fa un indiavolato balletto di identità, talmente forte che è davvero difficile distinguere il reale dalla galleria di personaggi che si susseguono davanti al prefetto, tutti plausibili nella loro identità, ma capaci di seminare l’inquietudine tra le mura della burocrazia.Eduardo, per raccontarci del suo pensiero sul ruolo del teatro, ci invita a spiare storie di esseri umani che ricoprono un ruolo essenziale nella società (Fausto Russo Alesi)

A REALIZZARE lo spettacolo è una compagnia assortita quanto grintosa, guidata da un artista importante nelle ultime generazioni: Fausto Russo Alesi (uno degli allievi prediletti e più stimati di Luca Ronconi), protagonista nel ruolo del capocomico, che ne firma anche la regia e l’adattamento.
Di fronte a lui il prefetto è impersonato da un attore solido quanto disponibile a interpretazioni sicure per quanto molto diverse, Alex Cendron. Una bella caratterizzazione di funzionario da tipica burocrazia, ministeriale, «alla romanesca» verrebbe da dire, la dà Paolo Zuccari, come Filippo Luna fa il vecchio medico, e una agguerrita Imma Villa rende l’esuberanza «teatrale» quanto fatale della donna del mistero. Ma tutti gli attori (con i loro travestimenti più veri del reale), sono ben coesi a farci capire (come al prefetto) la potenza del teatro.

CHE ERA la finalità prima di Eduardo, che certo non aveva bisogno di pietire contributi o complimenti dallo stato. Ma che è stato capace di costruire, attorno a quella tesi che voleva sostenere, un meccanismo davvero «inoppugnabile», più forte di qualsiasi carta da bollo. Verrebbe da dire «pirandelliano», ma che rispetto a quelli del Nobel di Girgenti, hanno la forza viva di una teatralità vissuta, e distillata quasi, in prima persona. Senza doppi pensieri ma con grande effetto comico, anche per quanto riguarda, nella messinscena di Russo Alesi (produzione Teatro di Napoli, Teatro della Toscana e Elledieffe) chi interpreta il piantone o il tecnico di palcoscenico. Potenza del teatro.