Alias Domenica

Edoardiano con la pistola

Saki Saki-Munro non ci invita mai alla simpatia. È la battuta finale di molti «Racconti» (ora tradotti dal Saggiatore) a investire di ironia quel che precede

Pubblicato più di 7 anni fa

C’è un umorismo solo inglese, anzi edoardiano, che non sopravvisse alla tragedia della prima guerra mondiale. I grandi protagonisti furono Jerome K. Jerome (1859-1927), P.G. Wodehouse (1881-1975) e Saki nom de plume di Hector Hugh Munro (1870-1916). Vi si potrebbe aggiungere anche James Thurber (1894-1961) se non fosse americano e più giovane, perciò privo di quella innata eleganza felina degli edoardiani.

Come autori hanno una storia in comune: godono delle simpatie di un pubblico di lettori che vogliono appunto dilettarsi di storie educatamente sardoniche, prepuberi, genericamente ensouciant di problemi sociali ed economici, e che abbiano in antipatia le donne comunque declinate in zie, mogli, fidanzate, ospiti mondane. Per i nostri tre grandi non scrivono specialisti, le università non promuovono affollati convegni – che rischierebbero di essere divertenti –, le storie letterarie li ignorano, non si trovano edizioni critiche, raramente uno scrittore «serio» ha lasciato cadere qualche battuta a loro favore. Ma le case editrici li hanno cari, moltiplicano le edizioni economiche, le traduzioni, e si provano a chiedere una breve introduzione a qualche autore eccentrico che sia un anglista in incognito.

Per questa ragione a Giorgio Manganelli fu chiesto di scrivere sul comico – argomento difficilissimo, a differenza del tragico – e su Jerome che invece è felicemente comprensibile. «La risata di una persona solitaria con un libro in mano è uno dei pochi risultati squisitamente umani che potrebbero commuovere un antropologo extraterrestre. L’aver imparato codesta arte sui libri di Jerome è ventura specialmente fortunata …». P.G. Wodehouse ha inventato il personaggio stupido ma pieno di grazia che mima il comportamento intelligente, la finezza che sa di non possedere – Bertie in conversazione con il suo maggiordomo Jeeves. È un personaggio che ci arriva dal teatro classico, si reinventa in Arlecchino e trionfa nel cinema (Forrest Gump) e nelle sitcom americane (Modern Family).

Ma Saki è diverso, Saki quasi mai ci fa ridere, quasi mai ci invita alla simpatia, alla immedesimazione con i nostri simili. Saki ebbe una vita e una morte che Keats non avrebbe esitato a definire allegoriche. Fu autore di racconti brevi, scritti tra il 1902 e il 1914, di tre romanzi tra cui The unbearable Bassington, tradotto in italiano insieme a una scelta di racconti già negli anni cinquanta, di testi teatrali e di servizi giornalistici in Russia, nei Balcani, in Polonia. A differenza della comicità in fondo bonaria, domestica, valetudinaria dei contemporanei edoardiani, Saki si alimentava anche di un certo gusto cosmopolita, antiborghese, noir della cultura eterodossa di quegli anni. Non partecipa del languore di un Firbank, né dell’erotismo della Salomé wildiana, né dei capricci ornamentali di un Beardsley, ma gode di una perfida sensibilità animalesca da divino adolescente.

Prefazione di Graham Greene

Tutti i Racconti di Saki, tradotti da Ada Arduini e Gioia Guerzoni per il Saggiatore (prefazione di Graham Greene, pp. 662, € 45,00) sono ora a disposizione del lettore «ridente» che sia anche in grado di apprezzare l’andamento curvilineo del comico che Eugenio Spedicato, a commento delle teorie di Jean Paul, definisce «simbolo di sereno arbitrio, di forza inventiva e di ricchezza di forme». Non manca infatti di varietà questa raccolta che contiene anche gli ultimi scritti dalla trincea sul fronte occidentale, «L’uovo quadrato»: «A un paio di metri di distanza, separato da un tratto di terreno squallido dall’aria sporca e da qualche bobina di filo spinato aggrovigliato e arrugginito, sta un nemico vigile che non fa che sputare pallottole … Sono lì per affrontarti, uomo a uomo e pistola a pistola, in questo che forse è lo scontro più straordinario che la storia moderna abbia conosciuto. Non è consigliabile dimenticare che sono là, nemmeno per una frazione di secondo…». La maggior parte dei racconti del ciclo di Reginald chiudono con il classico colpo di pistola, la battuta finale che investe di senso comico o ironico quanto precede – anche se in traduzione qualche volta la pistola fa cilecca. Reginald è il giovin signore elegante, efebico, ostico, spesso ospite di salotti londinesi o di magioni in campagna, preoccupato che il gilé lilla si accordi con la cravatta albicocca. Clovis, altro protagonista, è più ingegnoso nei suoi elaborati scherzi a coppie di anziani, a dame ipersensibili, a signore borghesi di buon cuore («La portafinestra aperta»). Se per caso vi assale il sospetto che Saki sia gay, ecco il suo autoritratto mentre legge Il racconto del grande ammutinamento indiano: «un giovane dai capelli perfettamente pettinati, che sembrava assorto a mille miglia di distanza, nelle pianure infuocate dell’Hindustan, tra bungalow deserti, bazar gremiti e caserme riottose, rapito dai colpi del tam-tam e dal crepitio distante dei moschetti» – suo padre era stato un testimone di quella tragica pagina di storia. Saki conosceva personalmente la triste sorte del soldato congedato dall’esercito inglese, dopo aver condiviso la gloria e la fatica di governare un impero. «Quell’uomo sa cosa vuol dire placare la frenesia di un purosangue, calmarne gli scatti e il sudore mentre danza sotto di lui nel giubilo delle pulsazioni, negli sfregamenti e nella gloria del proprio vigore. È stato nei posti più crudeli della terra, dove le bestie del deserto guaivano litanie inconcepibili e i loro occhi riflettevano il baluginio delle stelle di mezzanotte…».

Arruolato nell’esercito

Era nato in Birmania in una famiglia inglese di tradizioni militari, e anche lui come il fratello si era arruolato nell’esercito di stanza nel paese, ma dovette dimettersi a causa delle febbri malariche. La sua infanzia, come quella di Kipling e di tanti altri bambini nati nelle colonie, era stata segnata drammaticamente dal distacco dai genitori per essere educati nella madre patria. Come Kipling, Saki raccontò la dolorosa esperienza sua e dei due fratellini in un commovente, perfetto racconto «Sredni Vashtar», dove il bambino riesce a mettere in atto la sua vendetta contro la zia persecutrice. Bambini crudeli per una buona causa tornano anche in «La penitenza», nel «Raccontastorie», spesso in sintonia con animali giustizieri. Reginald e Clovis sono figli di Oscar Wilde, è stato detto. Ma Saki aggiunge anche due racconti su Pan, il bellissimo dio ragazzo, umano e ferino, celebrato dall’estetica di quegli anni, «Gabriel-Ernest»: «I capelli umidi, divisi a causa del recente tuffo, gli stavano aderenti al cranio e gli occhi castano chiari, così chiari da avere quasi un baluginio di tigre…».

Nella «Musica sulla collina» l’orgogliosa Sylvia, in visita alle sue terre, muore di terrore panico. In casa di Saki passeggiavano cuccioli di tigre, e occasionalmente di leoni. Forse conosceva la storia di quel suo antenato di servizio in India, il luogotenente Munro, rappresentato in porcellana e in legno, a terra con la testa in bocca a una tigre, nella «Morte di Munrow», 1791. Amava troppo la divisa militare, e scoppiata la prima guerra mondiale, a quarantaquattro anni si arruolò come soldato semplice nei fucilieri; fu mandato a combattere in Francia. All’alba del 13 novembre 1916 si trovava vicino a Beaumont-Hamel, nel fango di un cratere poco profondo assieme ad altri. Gridò a un compagno: «Spegni quella dannata sigaretta!» e un cecchino tedesco lo uccise sul colpo.

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