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Edith plasmata dal paesaggio: il romanzo di Melissa Harrison

Edith plasmata dal paesaggio: il romanzo di  Melissa HarrisonDora Carrington, Farm at Watendlath, 1921, Londra, Tate Gallery

Narrativa britannica 1934, una adolescente nella natura inglese terrificante e benevola: Melissa Harrison, «L’aria innocente dell’estate», romanzo, Fazi

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 1 ottobre 2023

I britannici, osservava ormai una quarantina di anni fa la britannicissima Margaret Drabble, sono famosi da tempi immemorabili per l’amore che nutrono nei confronti del paesaggio: la loro letteratura offre come la loro pittura infinite descrizioni di quello che Shakespeare definì con massimo patriottismo «un altro Eden» o un «Semi-Paradiso». Malgrado il clima inclemente e la rivoluzione industriale, gli scrittori hanno continuato a vedere e lodare le specifiche qualità del loro paese, spesso trovando bellezza negli angoli più insospettabili, nei cumuli di scarti e negli spazi inselvatichiti delle città, nelle vie di periferia e nelle stazioni, nei porti, nei vicoli lastricati. Ancora, continua Drabble, notiamo un attaccamento viscerale ai luoghi dell’infanzia e una devozione quasi mistica per la terra. Trasformare in arte il paesaggio sembra un desiderio naturale – riflette –, ma in realtà è difficile spiegare perché pittori e scrittori si diano tanta pena per riprodurre con parole e segni quello che ognuno di noi può osservare da solo. Per quale motivo, si chiede infine, gli inglesi hanno sviluppato questa capacità a un punto tale che anche il visitatore cui non è mai capitato di leggere una riga di Walter Scott possiede una visione plasmata dai suoi romanzi e dalle sue poesie? È una domanda cui Drabble tenta di rispondere in A Writer’s Britain (1979), sorta di viaggio nel tempo e nello spazio in compagnia di autori il cui sguardo ci consente di mettere simultaneamente a fuoco il passato che è scomparso e il presente che rimane. Perché il paesaggio, spiega dame Drabble, rappresenta insieme ciò che cambia e ciò che invece non può cambiare.
Non risale certo a quel 1979, ma neanche a troppi anni dopo, il pomeriggio in cui un’insegnante di una scuola elementare del Surrey, la contea più alberata d’Inghilterra, chiede a Melissa Harrison di fermarsi in classe dopo la lezione. Melissa ha scritto un tema e lei ci tiene a dirle che è buono: parla di uno stagno vicino, soffocato dai giunchi di palude e argentato dal ghiaccio. «Ero una bambina intelligente, ma non abbastanza sicura per essere davvero creativa: quello che mi faceva sentire tranquilla era fare le cose nel modo appropriato, non assumere rischi». Agli elogi l’insegnante aggiunge poi un’osservazione destinata a restare per molto tempo piantata nella memoria dell’allieva rivelandosi decisiva per la sua storia di scrittrice: le dice che è brava a descrivere la natura. Solo dopo i trent’anni – conclusa l’università ha intanto cominciato a lavorare per «Mixmag», rivista londinese di musica e danza – la ragazza Harrison comprenderà di poter combinare qualcosa di buono con quella sua capacità; si accorgerà che se nella tradizione letteraria inglese esiste una vera e propria «narrativa della natura», lei vi può tracciare un suo personalissimo sentiero. Né stupisce il lettore che uno stagno, in questo caso abbastanza grande per abbeverare i cavalli, sia con un cerchio frondoso di querce il luogo più amato dalla quattordicenne protagonista di All Among the Barley, terzo e più recente romanzo di Harrison: edito nel 2018 e adesso uscito in italiano da Fazi con il diverso titolo, molto banalizzante e un po’ stucchevole, L’aria innocente dell’estate («Le strade», traduzione di Stefano Bortolussi, pp. 274, € 18,50), è la sua prima opera disponibile nella nostra lingua e anche la prima ambientata nel passato.
«Il desiderio è una delle cose che hanno sempre messo in moto la mia scrittura. Il mio primo romanzo, Clay, parla della natura che ho scoperto nel cuore della città; il secondo, At Hawthorne Time, è (tra l’altro) un’indagine su quello che può significare andarsene» ha dichiarato Harrison dopo la pubblicazione di L’aria innocente dell’estate in un’intervista rilasciata al Guardian. Nata in Surrey nel 1975, di famiglia anglo-indiana per parte materna, Harrison ha vissuto a Londra fino al 2017, quando la sua passione per la campagna l’ha spinta a stabilirsi nel cuore della Deep England e più esattamente in Suffolk: la stessa contea dove tra l’immaginaria Wych Farm e il vicino villaggio di Elmbourne si svolge l’intera vicenda di L’aria innocente dell’estate. Abitare in un’antica fattoria, ha detto, rende ancora più affascinante scrivere del paesaggio. Alla natura, oltre che due libri per bambini, Harrison ha del resto dedicato anche due volumi non narrativi: Rain (2016), mosaico di quattro passeggiate «nel tempo inglese», e The Stubborn Light of Things (2020), raccolta in forma diaristica della rubrica mensile che dal 2014 firma sul Times.
La natura, terrificante e benevola, è il grandioso scenario su cui si snoda in L’aria innocente dell’estate la storia minuscola di Edith, non solo protagonista ma unica voce narrante del romanzo; il paesaggio, brulicante e immobile, prende forma attraverso il suo sguardo con elettrica, stillante intensità. Non è però soltanto di natura che Harrison intende narrare, né la sua necessità espressiva nasce da un’inclinazione elegiaca. Svolto in naturale sequenza cronologica nell’arco di un’estate, quella del 1934, condotto in uno stile piano, per quanto attraversato in profondità da molti echi e trapunto di richiami, il testo è strutturalmente racchiuso in un doppio cerchio che ricorda le pietre magiche da cui è costellato il suolo inglese. Alle due mappe disposte in apertura (dispiace che sia cancellato dall’edizione italiana il nome del disegnatore Neil Gower) e così prossime a quelle create per i loro più celebri mondi da Hardy o da Tolkien, rispondono in chiusura dodici versi di una canzone del folklore inglese da cui deriva il titolo originale del libro. Si serrano a cerniera intorno alla vicenda un Prologo e un Epilogo, narrati da Edith in un tempo successivo, indispensabili per comprendere il significato vero del racconto e intenderne l’atmosfera onirica, il ritmo arcano, la tonalità crepuscolare. Sullo sfondo di un’Inghilterra agricola percorsa da furori fascisti e nostalgie nazionaliste, in cui l’antica proprietà terriera ancora tiranneggia i coltivatori e l’esistenza delle donne scorre lontana dall’emancipazione, L’aria innocente dell’estate è in primo luogo la storia del difficile coming of age di Edith, anima sensibile e testa ribelle, adolescente solitaria, ragazza interrotta.
«Le solite onde di pensieri sgorgarono dalla sua mente in altrettanti cerchi concentrici, onde di pensieri spaventati che si propagavano in tutte le direzioni, facevano oscillare le ombre di oggetti familiari, confondevano le immagini nette di alberi e nubi, si allargavano l’una dopo l’altra, ciascuna più fiacca, più impercettibile di quella che l’aveva preceduta, finchè lo stagno tornò immobile» scrive Sylvia Townsend Warner della sua Lolly Willowes, personaggio cui Edith molto somiglia e la cui storia avidamente legge. Ha anche lei pensieri spaventati, nella sua mente immagini e ombre ugualmente si confondono. A quale futuro è destinata? Quale strada saprà percorrere? In quale forma le sarà consentito di abitare l’esistenza?
I modelli femminili che osserva non somigliano a quello che nebulosamente cerca: la sua insegnante, sua madre, sua sorella, la misteriosa giornalista londinese, nessuna potrebbe garantirle la libertà di trovare per sé una propria norma. I maschi la tradiscono e la tradisce perfino la natura. «Un tempo sognavo costantemente la valle in cui sono cresciuta» dice in explicit facendo eco alla citazione di William Morris collocata in esergo: «Da sveglia mi immaginavo nel dettaglio i campi e le fattorie della valle, le stradicciole serpeggianti e i villaggi, evocando la visione di un Eden perduto a cui avrei voluto fare ritorno. Ma alla fine ho capito che c’è un pericolo insito in simili pensieri; poiché tornare indietro è impossibile, e idoleggiando il passato non si fa che guastare il presente e ostacolare il futuro». È questa l’oscura forma di pace in cui Edith raccoglie la sua vita e anche il significato più solenne che la sua voce addomesticata dal tempo imprime al romanzo. Non esiste una natura innocente cui tornare, forse il paesaggio non è che un ideale. Una fantasmagoria inventata dai poeti.

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