Alias Domenica

Edilizia e ideologia di un megalomane

Arte Al Colosseo la mostra per l'anniversario dell'editto del 313

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 11 agosto 2013

Imperatori protetti dall’alto: Diocleziano e Massimiano come Augusti si dettero i cognomi di «Giovio» e di «Erculio» partecipando delle forze divine delle figure tutelari; ma con la fine della tetrarchia a un solo imperatore, convinto della elezione della propria famiglia e della sua eternità, bastò un solo dio. Già nel 310, in un santuario gallo-romano, Costantino ebbe una visione: accompagnato dalla Vittoria, il «suo» Apollo, assimilato a Sol invictus, gli offrì corone d’alloro come presagio di trent’anni di regno. Presto, però, subentrò il vero Dio a guidarlo. Secondo Eusebio, l’autore di una Vita di Costantino di natura apologetica, in cielo, sopra il sole, vide nel 311 un segno prodigioso nella forma di una croce di luce con la scritta: «Vinci con questa». La notte seguente, Cristo, apparso in sogno, gli ordinò di costruire un’immagine simile a quella del segno celeste come difesa contro i nemici. E continuò a sognare o a inventarsi di aver fatto sogni significativi anche la notte prima della battaglia con Massenzio. Convinta adesione al cristianesimo, la sua (da Sol invictus a invictus Christus)?
Non poté essere solo un’opzione politica e uno strumento di vittoria (e lasciamo stare le versioni ostili di parte pagana!), ma anche uno stile di vita assimilato via via da un «pio megalomane»: ormai sono superati i tempi in cui lo si considerò «sostanzialmente non religioso», come per Jacob Burckhardt, al quale si deve l’introduzione di «Tarda Antichità» (Spätantike), l’etichetta al momento più dibattuta dell’antichistica, con annessi concetti di continuità, trasformazione e/o declino, termine oggi non più out come sino a qualche anno fa.

Nell’Urbe, in suo onore, in asse con il Colosso neroniano fu eretto il grande arco, visibile dal luogo della mostra Costantino 313 d.C. (al Colosseo fino al 15 settembre, catalogo Electa), adattamento romano di quella già ospitata a Palazzo Reale e dedicata al cosiddetto Editto di Milano: l’ennesima nell’ultimo decennio su Costantino, in attesa delle imminenti celebrazioni del primo che aveva avuto il «suo» Apollo: Augusto. Si nega ormai che i tanti «bei» rilievi dell’età di Traiano, Adriano e Marco Aurelio riciclati sull’arco esplicitino un nesso con la politica dei buoni imperatori del II secolo; bene, niente ideologia, ma chi può escludere che almeno al momento della costruzione tra i senatori circolassero informazioni sulla loro provenienza, in grado di far coltivare almeno l’augurio di un imperatore in linea con i predecessori e che invece «sconvolse antiche leggi e tradizioni ricevute dal passato» – ma fu un rivoluzionario con discrezione – ? L’iscrizione di dedica dice e non dice, perché resta innominato il nemico Massenzio (si trattò di una guerra civile), mentre il riferimento a una generica suprema divinità o alla forza divina immanente in Costantino quale garante della vittoria inaugura una stagione di coesistenza, compromessi e dibattiti tra pagani e cristiani strettamente legati a progetti politici: grazie alla visione iniziale dell’imperatore il monumento voluto da un senato per lo più pagano ne enfatizza il legame proprio con Sol, raffigurato su un lato breve sopra il settore del fregio narrativo raffigurante il suo ingresso a Roma.

Ma nella «città regina» Costantino restò poco, per tornarvi nel decimo (315) e ventesimo anniversario della proclamazione imperiale (con un anno di ritardo però, nel 326, quando durante la «festa patria» si trovò lontano dalla «sacra cerimonia», stando a un problematico brano dello storico bizantino Zosimo che ha opposto Augusto Fraschetti a François Paschoud); egli si creò poi una nuova Roma destinata a oscurare la vecchia nel Vicino Oriente. Così, oltre ai monumenti voluti da Massenzio, «falso Romolo», e ridedicati dal senato al liberator urbis suae, esistette in concreto una Roma costantiniana?
Riscontrabile nell’edilizia sia cristiana sia profana, eccone un elenco degli elementi distintivi sul piano architettonico, in parte evidenti anche su un modello ricostruttivo del Mausoleo di Sant’Elena: alleggerimento delle masse murarie, rinuncia alle partizioni orizzontali e alla decorazione architettonica interna, spazi inondati di luce grazie a finestrati più grandi e articolazioni complesse delle planimetrie. Caratteristiche veicolanti anche contenuti simbolici e componenti spirituali sino ad allora assenti? Sul significato dei progetti architettonici adottati dagli attori in gioco (non solo l’imperatore e la corte) tacciono le fonti coeve; e quando è Costantino a parlare, nella costruzione di chiese gli stanno a cuore i fattori già decisivi nell’architettura pubblica monumentale: splendore e bellezza.

Durante il suo regno una serie di basiliche suburbane «a deambulatorio» fu costruita intorno alla città lungo le vie consolari su terreni di proprietà imperiale o confiscati, una posizione dettata dalla prossimità alle memorie dei martiri, modelli di virtù religiosa, e non dal rispetto per il senato; siccome servirono anche da cimiteri coperti collettivi affiancati da spettacolari mausolei, la più grande novità in mostra è la presentazione del recente rinvenimento di un ricco corredo aureo della fine del IV secolo appartenente a una defunta sepolta all’interno della basilica di papa Marco sulla via Ardeatina. Queste basiliche presentano una pianta affine alla forma di un circo, per cui di nuovo la domanda: simbolismo sì (adattamento della connessione dei valori cosmici del circo quale metafora di aeternitas, tanto più che le feste di alcuni martiri coincidevano con i giorni di svolgimento di ludi e circensens), no o forse? In ogni caso ipotesi, non certezze.

Al Colosseo sfilano, infine, i ritratti di Costantino (pochi però), detto affabile, bello e gagliardo: sarà stata la mascella squadrata? Anche la sua effigie fu di rottura, tanto più rispetto alla brutale espressività e alle truci fronti dei tetrarchi. Se dopo Adriano per gli imperatori era invalsa l’abitudine di portare la barba più o meno lunga su volti maturi, con Costantino l’uomo di potere tornò a presentarsi imberbe e con un viso pacato da princeps civilis, senza troppi segni d’età; scelta divenuta vincolante per molti successori, a stento distinguibili l’uno dall’altro, anche a causa della graduale astrazione dei mezzi formali: una dinamica, quest’ultima, da tenere tuttavia distinta dalla volontà di comunicazione di qualità sovrumane o di distacco dalle cose terrene.
Celeste angelo del Signore con la veste rilucente dei raggi fiammeggianti della porpora e adorno del fulgido scintillio di oro e pietre preziose: si presentò così in occasione della seduta inaugurale del consiglio di Nicea. E lo scintillio accompagnò l’imperatore «portatore di luce» sino alla morte. Deposto nel 337 su un alto catafalco a Costantinopoli, mentre candelabri e bara rilucevano d’oro, tutto continuò ad andare come se fosse vivo, con senatori e alti dignitari a rendergli omaggio. Persino a Roma la notizia, sostiene Eusebio, fu considerata peggiore di ogni altra sciagura, con diverse manifestazioni di cordoglio: chiuse le terme e i mercati e sospesi gli spettacoli, il sovrano fu onorato con la dedica di dipinti che lo raffiguravano dimorante nello spazio etereo sulla volta celeste, e gli abitanti ne chiesero il corpo, ma figurarsi. Le monete «di consacrazione» in Oriente e Occidente lo raffigurano sulla quadriga nell’atto di essere accolto in cielo da una mano: iconografia in parte tradizionale – le immagini si inventano meno velocemente delle idee (Gilbert Dagron) –, ma davvero vogliamo considerare di ambiguo riconoscimento quella mano?

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