Economia civile e conflitto
Nelle giornate di questo fine settimana (16-18 settembre) si tiene a Firenze il Festival dell’Economia Civile. Si tratta di un evento annuale di di conferenze con la partecipazione di economisti, studiosi e varie altre figure intellettuali e politiche, non certo caratterizzate da velleità sovversive: si svolge a Palazzo Vecchio, tempio della amministrazione fiorentina a salda guida Pd. Compaiono fra i partecipanti Giuliano Amato e l’iperliberista Riccardo Puglisi. Evento passerella con nomi altisonanti come il commissario Gentiloni e il ministro Orlando, ma anche personaggi ai margini dell’establishment quali il direttore di Avvenire Marco Tarquinio e Anna Fasano, presidente di Banca Etica.
Il pensiero-cornice di tutto ciò è una elaborazione che si rifà non tanto al filone del pensiero economico iniziato dallo scozzese Adam Smith ma dal Settecento napoletano. In sostanza si ammette l’economia di mercato ma sconfessandone l’atomismo individualistico caro all’ortodossia per volgersi alla sfera di relazioni di reciprocità che attraversano la società. L’assetto economico dovrà insomma recuperare questi aspetti inerenti ad essa (da qui l’aggettivazione di «civile») ed i svariati aspetti della vita sociale, che possono essere sottratti al mortificante riduzionismo del pensiero dominante.
Nella stessa allocuzione introduttiva (trasmessa online) il professor Bellanca parla di questa visione come una via di mezzo fra la pianificazione e il libero gioco dei soggetti economici caro al liberismo. Una visione non di classe come si vede, ma nemmeno completamente allineata. Ma nella prospettiva orientata al socialismo qual è il significato di tali eventi?
Nella immediatezza è un modello che sul piano dialettico concilia gli opposti, consentendo a personaggi pienamente integrati come Amato di tuonare contro la tirannia della finanza e il sistema dominante, lamentandone le turpi conseguenze per la società.
Ma non è solo questo. Ne è un esempio il ragionamento di un altro relatore, che critica l’attitudine aziendale al profitto quando ignora il benessere del consumatore invece di includerlo. La riflessione sfortunatamente non include i lavoratori dipendenti dell’azienda.
Ma nell’incrementare diseguaglianze sociali e povertà, aumentare la ricchezza dei ceti più abbienti e (last but non least) facendo avanzare una distruzione ambientale il sistema dominante iperfinanziarizzato ha danneggiato vaste porzione della società oltre i limiti dei lavoratori subordinati.
Per esempio l’indebitamento delle famiglie europee nel 2021 è aumentato più dei redditi, salendo al 96,6% (dato Bce) e l’inflazione da energia con la crescita abnorme delle bollette potrebbe portare la soglia ancora più in alto nel corso dell’anno attuale.
La possibile recessione da molti prevista per l’autunno può portare a una più acuta conflittualità sociale. Per cui la valorizzazione comunicativa di una visione che, cercando una difficile quadratura del cerchio non rigetta totalmente i presupposti del sistema dominante ma sono le sue conseguenze sociali può essere il sintomo dell’esaurimento del pensiero dominante anche come strumento al servizio delle classi dirigenti.
In questo panorama un pensiero che come presuppongono i teorici della Economia civile (a parte i vari personaggi da establishment che cercano una narrativa antisistema con cui accreditarsi) riconsideri il funzionamento degli scambi sociale senza la mutilazione concettuale operata su di essi dal riduzionismo liberista non va considerato negativamente, purché vada in convergenza con le istanze del conflitto sociale. Fraternità e reciprocità se appaiate con il liberismo oligarchico non liberano nulla, ma sono solo l’ennesimo camuffamento ideologico
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