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Ecologisti modello Comiso

Attivismo Il libro «Arcipelago verde» di Michele Boato ripercorre la storia dei movimenti antimilitaristi e ambientalisti degli anni ’70 e ’80. Dai Proletari in divisa alle marce contro i missili americani in Sicilia

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 7 gennaio 2021

Negli anni ’70 e ’80, l’impegno ecologista e antimilitarista ha percorso tutto il paese. Centinaia di lotte ostinate e proposte visionarie. Locali, ma con il mondo ben presente. Un impegno di vita, gratuito. Senza Internet né social come facevano?, ci si potrebbe chiedere da un distopico e digitale 2020.

L’affollata storia di quell’epoca galoppa – anzi pedala – lungo un libro concentrato e certosino, che non dimentica niente e nessuno: Arcipelago verde, scritto da Michele Boato, ora presidente dell’Ecoistituto del Veneto (a Mestre), attivissimo su tanti fronti a partire proprio da quegli anni.

La violenza politica imperversava ma le lotte per l’ambiente, la salute, i diritti dei lavoratori e la pace seppero tenersene lontane. Come in quel 3-5 agosto 1970, con «il più grande episodio di lotta operaia veneziana: le “tre giornate di Porto Marghera”: a usare le armi sono stati solo i poliziotti e i carabinieri e questo ha decretato la loro solenne sconfitta in seguito», spiega Boato. Le tre giornate sono la scena conclusiva del suo libro precedente, La lotta continua. Il prossimo racconterà gli ultimi decenni.

Arcipelago verde ricorda l’antimilitarismo serpeggiante fra i soldati, nell’esercito di leva. Alcuni anni dopo il testo di don Milani L’obbedienza non è più una virtù, il movimento dei Proletari in divisa denuncia le condizioni in caserma ma esce fuori, partecipando a marce antimilitariste come quella conclusasi davanti al carcere militare di Gaeta, piena di centinaia di obiettori di coscienza, mentre si susseguono i tentativi per far approvare una legge. Emergono i primi lavoratori obiettori nelle fabbriche di armi. Partirà anche la resistenza fiscale contro le spese militari – avrà un boom nel 1991, per via della guerra del Golfo.

NEL NORD E NEL SUD, lotte operaie si intrecciano con quelle per la salute e l’ambiente. A Brindisi c’è un petrolchimico Montedison simile a quello di Marghera. Ai cancelli alle 5 di mattina Boato, giovane insegnante di economia trasferitosi in Puglia con la moglie Maria, distribuisce i volantini di Lotta continua. I fronti sono tanti: condizioni di lavoro, sfruttamento, mafia in politica, fascisti. Ma nel 1974 arriva il progetto di costruire una «linea del fosgene». Malgrado la campagna di persuasione della Montedison, reagiscono in massa operai, sindacati e popolazione, anche grazie alle informazioni che arrivano da Marghera dove il fosgene ha provocato centinaia di intossicazioni. Cortei, marce e scioperi bloccano il progetto. Qualche anno dopo andrà avanti, seppure con maggiori precauzioni.

Nel 1977 scoppia il reparto cracking, il cuore della fabbrica; il sacrificio di tre operai evita il peggio. Molti intossicati e feriti. Solo la tramontana allontana i fumi dalla città. La mancata manutenzione è la scelta criminale dell’azienda, resa pubblica grazie alla soffiata di un dirigente pentito (un whistleblower di quei tempi). Un anno prima sono fuoriuscite varie tonnellate di arsenico dal petrolchimico Anic di Manfredonia, ed ecco un’altra mobilitazione.

Fra i richiami all’impegno contro la «peste delle concerie» e il proliferare delle cave, alcune pagine si soffermano su una lotta emblematica, durata cento anni: contro l’Acna, la fabbrica dei veleni nata nel 1882. Il lavoro lassù a Cengio uccide persone e attività agricole laggiù a valle, in Piemonte. I contadini ricavano dalle loro proteste solo arresti e cause perse in tribunale. La svolta nel 1987, quando un’alleanza fra mondo rurale e ambientalisti crea l’Associazione per la rinascita della valle Bormida. Le azioni si fanno di massa, eclatanti. La chiusura arriva nel 1999.

Sono anche gli anni della nube di diossina a Seveso, 1976. Un incubo tale da dare il nome a una direttiva europea sei anni dopo. Intanto, nel veneziano, mentre nascono centri d’incontro, radio, bollettini e progetti scolastici di ricerca sull’inquinamento, prosegue la triste saga ambientale del petrolchimico di Marghera. Michele Boato ha iniziato a occuparsene nel 1971 all’epoca della prima fuga di gas fosgene. Negli anni si mobilitano cittadini, studenti e operai dissidenti. Dopo nubi tossiche, fuoriuscite varie e incidenti con morti e feriti, il processo arriva nel 1987 (nel 1984 la condanna di alcuni dirigenti). La locale sezione di Medicina democratica anima la rivolta con denunce e proposte di alternative alle produzioni di morte. Nel 1979 mille militanti animano lo storico «processo a MoRtedison». E quando nel 1980 a Marghera arrivano da fuori, a uccidere, le Br, «rosse di sangue, suscitano una dura reazione fra i lavoratori del petrolchimico».

FRA IL 1984 E IL 1988 la «battaglia più epica, contro lo scarico dei fanghi al fosforo» nell’Adriatico. L’allora senatore Giorgio Nebbia fa votare all’unanimità l’impegno a revocare al più presto le autorizzazioni di scarico a mare. Presenta, con la Lista verde veneta, un ponderoso studio sulle alternative. Gli ambientalisti su barchini instabili rischiano la pelle avvicinandosi alle navi di scarico. L’incubo finisce nel 1988, e senza licenziamenti. Era possibile, dunque.
Nebbia, docente di merceologia, scienziato ambientalista, è stato un riferimento – generosissimo di saperi e di tempo – per le lotte ambientali e antinucleari. L’altra «stella polare», Laura Conti, medico e divulgatrice ecologica, tiene a battesimo a Mestre, nel 1982, la prima Università verde italiana. Ne nasceranno circa cento. Fucine di conoscenze, laboratori dai quali sorgono associazioni e idee. Sempre in quegli anni ecco gli Amici della bicicletta e le bicifestazioni per trasformare le città, i movimenti dei consumatori, un numero enorme di riviste ecologiche (a ciascuna il libro dedica una mini-biografia), i forum sui rifiuti, i contadini biologici, il movimento per aumentare le aree protette…Il 1 agosto 1981 nasce la rete Arcipelago verde, un coordinamento fra associazioni che si riconoscono nei valori dell’ecologismo e della nonviolenza.

E INTANTO NELL’AUTUNNO 1977 un’infuocata assemblea all’università di Bologna fa da lancio al movimento antinucleare italiano, «il principale protagonista della primavera ecologista degli anni 1980». La lotta contro il nucleare delle centrali energetiche e quello militare delle bombe A e H inizia a saldarsi. E diventa «un fiume in piena che riesce a fermare i missili nucleari di Comiso e, con il referendum del 1987 blocca la costruzione della centrale nucleare di Montalto e fa chiudere le altre 4 già in funzione».

MARCE IMPONENTI. Un milione di firme contro i lavori a Comiso e un milione di persone in piazza il 22 ottobre 1983 a Roma – viene simulata la morte atomica. Rilanciata l’obiezione fiscale. Comuni che si dichiarano denuclearizzati; il primo è Robassomero. Nel 1982, ad Avetrana nel Salento, i cittadini in massa e un sindaco democristiano lungimirante autogestiscono senza spese un referendum contro l’intenzione dell’Enel di impiantare una centrale. Il risultato è una pietra tombale per il nucleare in Puglia e preannuncia il plebiscito nazionale del 1987, dopo la tragedia di Chernobyl. Nel 1984 in tutta la Sicilia viene promosso un referendum autogestito, (5 milioni di schede): l’80% dei votanti vota contro l’installazione dei missili nucleari a Comiso. Dopo anni di azioni dirette nonviolente, nel 1987 gli equilibri cambiano. I missili vengono ritirati.

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