ExtraTerrestre

«L’ecologia è sociale»

Intervista Dall’economia circolare all’impegno ambientalista. Parla la nuova presidente del Wwf, Daniela Ducato

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 giugno 2022

Da qualche giorno l’ambiente ha un’alleata in più. Nel numero dell’ExtraTerrestre del 21 marzo 2019 la definivamo La donna di un altro pianeta: eclettica, geniale, pluripremiata a livello internazionale, Daniela Ducato possiede un’umanità dalle radici profonde. Imprenditrice senza imprese, alfiera dell’economia circolare, ovunque vada è in grado di far nascere collaborazioni. Il suo elemento distintivo è sempre stato quello di sviluppare aziende basate sugli scarti delle principali filiere.

Ha aiutato lo sviluppo di filiere con l’utilizzo di sotto lavorazioni. È stata insignita dal Presidente Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti ambientali, è stata nominata l’imprenditrice più influente e innovativa d’Italia dalla rivista americana Fortune, che anni prima l’aveva definita anche imprenditrice più innovativa d’Europa nel settore industria green.

L’abbiamo contattata telefonicamente il 24 maggio per l’esattezza – la «donna di un altro pianeta» è stata eletta Presidente di una delle più iconiche associazioni ambientaliste, che ha a cuore la cura del nostro, di pianeta: il Wwf Italia.

Come è stato per lei essere eletta alla guida del Wwf?

È stata una sorpresa, non me lo aspettavo. Il mio nome è stato dapprima proposto ai soci come nuovo membro del consiglio direttivo, dopodiché, una volta eletta, il consiglio stesso mi ha votata all’unanimità come nuova Presidente, il che mi ha davvero onorata. Mi sento molto in ascolto, anche perché la figura del Presidente ha un ruolo soprattutto di sintesi, di messa a sistema di quello che è un lavoro corale, collegiale. Mi sento anche molto fortunata a venire dopo Donatella Bianchi, che per fortuna è rimasta nel consiglio direttivo e che in otto anni di presidenza ha fatto un lavoro incredibile, nel cui solco cercherò di inserirmi.

Quindi sarà una presidenza nel segno della continuità?

Certamente. Donatella Bianchi in questo è e sarà il mio faro nella notte. Il suo lavoro ha rigenerato e fatto evolvere l’organizzazione, è stato prezioso nell’avviare collaborazioni con altre associazioni e nel mettere a sistema, organizzare e valorizzare la rete di ricercatrici e ricercatori, di scienziati.

Qualcosina però lo ha già cambiato.

È vero. La mia prima richiesta, appena eletta, è stata quella di sostituire in molti testi e slogan del Wwf la parola «uomo» con la parola «persona». Laddove si parla di «armonia fra ambiente e uomo» o di «ambiente a misura d’uomo» ho voluto che la parola fosse sostituita. Può sembrare una cosa piccola, ma ha una serie di effetti non trascurabili.

C’è una questione di genere nelle tematiche ecologiche?

Sì, e non solo. Il termine persona include gli uomini, le donne, così come chi non si sente né l’uno né l’altra, ma include anche i bambini e le bambine, gli anziani e le anziane. Credo che la «misura d’uomo» è quella che abbiamo avuto fin qui, nell’attuale modello di società. Ora, se vogliamo cambiare, abbiamo bisogno di una «misura di persona».

Un ambientalismo dei diritti sociali e civili, quindi?

Non possiamo parlare di giustizia ambientale senza parlare di giustizia sociale. Anzi, già il fatto di separarle e dar loro due nomi differenti è un errore concettuale. Non possiamo non collegare la lotta per l’ambiente con la lotta contro le disuguaglianze e per la tutela dei diritti civili. Pensare che la questione ambientale sia qualcosa di separabile da tutto il resto è frutto di una visione distorta, la stessa che ci porta a pensare di poter «salvare il Pianeta»…

Che c’è di sbagliato nel voler salvare il Pianeta?

Il Pianeta non va salvato, starà benissimo anche senza di noi. Noi stiamo semplicemente cercando di salvarci la pelle. Pensare di poter salvare l’ambiente è un’idea ingenua e piuttosto arrogante, in un certo senso padronale, patriarcale. L’ambiente non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo a lui. Lui può vivere senza di noi, noi, viceversa, no.

La guerra sta rendendo evidenti i molti limiti di un sistema energetico ed economico basato sulle fonti fossili e il sovraconsumo di risorse, ma il cambiamento auspicato tarda ad arrivare. Come valuta la situazione attuale?

Non ho dati alla mano che certificano quello che sto per dire, perciò darò una risposta emotiva, frutto si una mia impressione. All’inizio del conflitto mi è sembrato di vedere alcuni passi indietro importanti, con un ritorno prepotente all’utilizzo delle fonti fossili. Ora, invece, di recente, sono tornata ad osservare una forte volontà di cambiamento, principalmente dal basso. Credo che la pandemia ci abbia reso più consapevoli, insegnandoci che è dalla salute della natura che ci circonda che dipende anche la nostra salute. Mi sembra di osservare una nuova accelerazione nella diffusione di questo sentire. Spero che ciò si trasformi anche in un’accelerazione verso delle scelte più sostenibili sotto ogni punto di vista, compreso quello del nostro sistema produttivo ed alimentare. O forse sono io che leggo il mondo con il filtro delle mie speranze.

Torniamo a parlare del Wwf. Abbiano detto di cosa lei può portare all’associazione. Cosa invece quest’ultima le sta donando?

Tantissimo. Una delle cose più belle è la sensazione di essere tutti e tutte interconnesse, sentirsi cittadini del mondo. Il Wwf è presente nel mondo in quasi cento paesi diversi e questo ci permette di dialogare e imparare da realtà molto differenti e sentirle vicine è un dono prezioso. Ci aiuta a mantenere la giusta prospettiva globale su problematiche come il cambiamento climatico e la crisi della biodiversità, a sentire come realmente nostri problemi come un’inondazione in Bangladesh o la crisi alimentare in Etiopia.

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