È interrogante l’ultimo libro di Marco Revelli. Mi domando se non ci resti che sussurrare, o urlare «non ti riconosco più» e ritirarci in buon ordine nel racconto di microcosmi e di territori resilienti, magari con Magnaghi e la sua rete dei territorialisti. Oppure se valga la pena di alzare lo sguardo e continuare a cercare per capire oltre l’invito di Candido «Dobbiamo coltivare il nostro orto», evocato in un altro scritto di Revelli sul manifesto. O ancora se valga la pena continuare nella fatica di Sisifo dello scomporre e ricomporre il farsi della società nel salto d’epoca dell’accelerazione, con...