Eclettici juke box e malinconici rock per Jonathan Coe
Incontri «Quando un pezzo mi conquista penso al modo di usarlo in un libro», incontro con lo scrittore inglese che racconta il rapporto tra musica e letteratura
Incontri «Quando un pezzo mi conquista penso al modo di usarlo in un libro», incontro con lo scrittore inglese che racconta il rapporto tra musica e letteratura
«I girini continuano a gridarmi nell’orecchio: ehi, voi, Banda dei Brocchi!». Se il mondo conosce Hatfield and The North, gruppo prog dalla vita breve, lo deve principalmente a Jonathan Coe, che nel 2001 intitolò un romanzo come il loro secondo album: The Rotters Club, in italiano La Banda dei Brocchi. Nel libro si contano ben 54 riferimenti musicali, un jukebox eclettico da Ralph Vaughan Williams agli Henry Cow, Yes, Eric Clapton, Genesis, Gryphon, Clash. Jonathan Coe è un grande appassionato di musica e un compositore: nel 2015 ha pubblicato Unnecessary Music, una raccolta di brani originali (su Bandcamp e Spotify) mentre 9th & 13th (Tricatel, 2001) sono letture musicate da Danny Manners e Louis Philippe. Nel nuovo romanzo Middle England, terzo capitolo della saga dei Rotters dopo La Banda dei Brocchi e Il Circolo Chiuso, la musica è presente fin dalle prime pagine, quando Benjamin, ormai 58enne, guida lungo le strade di Birmingham e dintorni sintonizzato su BBC Radio4.
Scrivere «Middle England» è stato catartico o necessario dopo il referendum sulla Brexit?
È stato catartico ma non per via del referendum. Ho scritto il libro innanzitutto per fare pace con il personaggio di Benjamin Trotter e dargli la felicità che gli avevo crudelmente negato quando ho scritto Il Circolo Chiuso.
Fino a che punto Benjamin Trotter è il suo alter ego sfigato e un modo per esorcizzare le sue ansie di scrittore?
In Benjamin concentro tutte le cose che detesto di me stesso, non solo come scrittore, soprattutto la sua indecisione e la sua mancanza di volontà, e cerco di trasformarle in battute. Scrivere di lui mi rende più facile vivere con me stesso.
In «Middle England» la musica caratterizza Benjamin come personaggio oltre all’epoca storica, e intensifica alcuni momenti cruciali. Come trova le citazioni musicali?
Ascolto moltissima musica durante le mie giornate. Occasionalmente, una volta ogni due o tremila canzoni, scopro qualcosa che mi conquista e allora penso: devo trovare un modo di usarlo in un libro. È accaduto quando ho sentito Adieu for Old England cantata da Shirley Collins, anche se in un primo momento è stato il motivo a ispirarmi, non le parole: è un’espressione di nostalgia pura e molto malinconica, che è uno dei temi ricorrenti dei miei romanzi.
Diverse pagine sono dedicate alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra, con la loro strepitosa colonna sonora. È stato l’ultimo momento di orgoglio e unità nazionale?
Danny Boyle e Frank Cotterell-Boyce sono riusciti ad articolare un sentimento di identità nazionale al tempo stesso sincero e ironico, molto britannico ma aperto al resto del mondo. Come nel mio romanzo, c’è stato chi ne ha criticato l’eccessiva correttezza politica, pertanto i semi delle guerre culturali in atto in Gran Bretagna erano presenti anche all’epoca. Io lo considero un grande momento per il mio paese, in cui un patriottismo illuminato sembrava possibile.
La cronologia dell’iPod di Benjamin, dagli XTC a Stravinsky, è inventata?
L’iPod di Benjamin è quasi identico al mio! I nomi dei gruppi e dei compositori che appaiono quando scorre la cronologia sono gli stessi. Sono felice di aver citato gli Stackridge perché sono uno dei miei gruppi preferiti e non sono mai diventati famosi come avrebbero meritato.
La musica di Gabriel Fauré rappresenta qualcosa che Benjamin teme di perdere: è francese ma lui la sente sua. Lo spirito comune europeo non è forse qualcosa che le ultime generazioni hanno già perso e che i loro genitori sentono meno per la disaffezione verso la UE?
Forse in quel momento Benjamin esprime un punto di vista specifico di una persona di mezza età. Quando ero adolescente negli anni ’70 mi miei primi viaggi all’estero sono stati nei grandi paesi dell’Europa continentale – Francia, Germania, Italia, Spagna – e da quei viaggi ho sviluppato un forte senso di identità europea, che coesisteva con la percezione di me stesso come inglese. La generazione delle mie figlie è molto più globalizzata, grazie soprattutto a internet e in generale all’americanizzazione della cultura. Nel Regno Unito probabilmente i più giovani si identificano più come cittadini del mondo che dell’Europa, tuttavia sentono amaramente la loro perdita dell’identità europea come conseguenza del referendum.
A proposito di adolescenti, nel romanzo c’è un omaggio sentito ad Amy Winehouse, l’idolo di Coriander.
Amy aveva un grande talento e la sua morte così precoce è stata una perdita terribile per la cultura pop britannica. Volevo renderle omaggio nel romanzo e siccome incarnava un certo spirito ribelle e anticonformista, si adattava al personaggio di Coriander, la figlia adolescente di Doug.
Ha in progetto altre collaborazioni come «Say Hi to the Rivers and the Mountains» con Sean O’Hagan degli High Llamas?
Non credo. Mi piacerebbe scrivere un’opera di teatro musicale ma forse in una forma più convenzionale rispetto a quella tentata con Sean. La combinazione di spoken word e musica sembrava confondere il pubblico, anche se la musica era meravigliosa e certi miei testi non erano male.
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