Economia

Ecco perché Pirelli è finita nella «scatola cinese»

Pirelli Con l’acquisizione della società di Tronchetti Provera da parte di ChemChina finisce all’estero un altro pezzo della grande industria italiana. E’ l’esito di un lento declino cominciato ai tempi di Cuccia con le discutibili operazioni di Mediobanca.

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 marzo 2015

Guardando alle cose con il distacco del tempo appare evidente quanto il ruolo di Cuccia e della sua Mediobanca sia stato nefasto per il sistema industriale italiano.

Da una parte la stessa banca interveniva soltanto nel caso delle grandi strutture, lasciando a se stessa invece la media e piccola impresa, dall’altra essa stava esclusivamente attenta a mantenere la presa del potere delle grandi famiglie sulle aziende, trascurando invece di sostenere queste ultime nei loro processi di sviluppo e di innovazione.
Così la famiglia Pirelli era riuscita a mantenere il controllo sul gruppo omonimo possedendo la proprietà soltanto dello 0,7% del capitale complessivo.

Questo avveniva attraverso la creazione di società a cascata – le famose scatole cinesi; ironia della sorte, adesso a comprare l’azienda è proprio una società del Paese di Mezzo -, i famigerati patti di sindacato, infine il sostegno finanziario delle banche «di sistema».

Ed è ancora con l’appoggio di Mediobanca che la Pirelli intraprende maldestramente nel 1991 l’operazione che sarà all’origine dei guai del gruppo, il tentativo di assalto alla tedesca Continental. L’operazione costò molti soldi che la società tra l’altro non aveva di suo e l’acquisizione fallì a suo tempo miseramente. Un altro guaio che essa lascerà in eredità al gruppo è costituita dalle dimissioni di Leopoldo Pirelli, che aveva avviato l’operazione e la sua sostituzione nel 1992 con il genero, Marco Tronchetti Provera.

Oggi il mondo di Mediobanca non esiste più e le imprese della galassia sono ridotte a ben povera cosa; la Fiat è scappata all’estero, in attesa che qualcuno se ne impadronisca, l’Olivetti ha chiuso i battenti, la Pirelli, sempre più ridimensionata nel tempo, passa ai cinesi. Di altre imprese del famigerato capitalismo di relazione, come quella della famiglia Orlando, non si sente più parlare.

Nel frattempo Mediobanca, assediata anche dalla concorrenza, mentre potrebbe diventare anch’essa preda di qualche finanziere asiatico, è diventata una banca come le altre ed essa è ridotta a fare una pubblicità oscena in televisione per attirare l’attenzione di qualche casalinga, lodando le pretese virtù di «Che Banca». La cugina Assicurazioni Generali, «compagna di merende» nelle varie operazioni, si è ritirata nel fortino assicurativo e di patti di sindacato non vuole più sentire parlare.

E torniamo a Tronchetti Provera. Messo in sella dalla crisi Continental è subito costretto a coprire il buco tedesco vendendo i primi gioielli di famiglia, le attività diversificate. Poi giustamente egli vuole sbagliare di suo ed ecco l’avventura di Telecom Italia, sempre con il sostegno di Mediobanca; da tale storia la Pirelli esce di nuovo con le ossa rotte e nel contempo caricando l’azienda telefonica di debiti tali che essa non se ne è ancora liberata. Inoltre, la Pirelli è costretta nel 2005 a vendere l’intero settore dei cavi. Seguirà l’avventura di Pirelli Re, poi Prelios, operante nel settore immobiliare; anche tale business procurerà altri guai al grande manager milanese e soprattutto alla sua impresa.

Per un po’ egli è riuscito comunque a mantenere il controllo del gruppo grazie ancora al sostegno delle banche di sistema, ma poi non ce la ha fatta più e ha dovuto ricorrere prima ai russi ed ora ai cinesi.
Mancavano in effetti, ormai, le risorse finanziarie per stare al passo in un settore in cui sarebbero necessari importanti investimenti.

Comunque il nostro manager esce sempre abbastanza bene dalle varie vicende, almeno a livello di finanze personali. Tra stock option ordinarie e straordinarie, dividendi più o meno opportuni, adeguate remunerazioni del suo brillante lavoro di capo del gruppo, egli riesce a portare a casa nel tempo quasi altrettanti soldi del più illustre Marchionne.

Mentre va sottolineato con curiosità il fatto che egli manterrà la carica di amministratore delegato ancora per diversi anni anche con la nuova gestione, per quanto riguarda il merito dell’operazione di acquisizione dell’azienda da parte dei cinesi di ChemChina, essa, vista la situazione di partenza, ci appare alla fine sotto una luce positiva.

Non vogliamo entrare nelle complesse articolazioni tecniche della cessione, né nei suoi possibili sbocchi finanziari alternativi nel prossimo futuro. I cinesi, nelle acquisizioni che sino ad oggi hanno fatto in Europa e nel nostro paese, sembrano comportarsi in maniera accettabile; essi tendono a diventare un azionista di lungo periodo e a sviluppare i business di cui si impadroniscono, approfittando in particolare del possibile inserimento delle imprese acquisite nel grande mercato del loro paese. Ed anche il comportamento sulle questioni sindacali non sembra essere fra i peggiori. Più in generale, l’operazione sembra avere una connotazione fortemente industriale.

Quello che appare sempre più insopportabile è invece intanto il sordo silenzio del governo su questa come su tante altre vicende simili e la quasi totale assenza di ogni strategia di gestione delle operazioni industriali di rilievo, mentre con tali acquisizioni noi diventiamo sempre più marginali come paese e la nostra manifattura continua a perdere quote di mercato nel mondo.

Colpisce inoltre, anche, la totale assenza dell’imprenditoria italiana, che, di fronte alla messa sul mercato di tante società nazionali, non riesce a manifestare quasi mai alcun interesse a partecipare alla contesa, neanche insieme a qualche partner estero, segno anche questo di un paese non più in grado di reagire in alcun modo alla vendita pezzo a pezzo del suo apparato economico.

Attendiamo con impazienza la prossima cessione. Sarà Telecom Italia, la Saipem, la Fincantieri? I forzieri dei cinesi sono inesauribili e sino ad oggi abbiamo solo visto gli spiccioli. E’, per altro verso, in atto una grande ristrutturazione degli assetti economici e finanziari mondiali, che vede il paese asiatico come principale protagonista e l’Europa come uno spettatore distaccato.

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