Cultura

Ebola, un virus tra guerra, pregiudizi e anticorpi

Ebola, un virus tra guerra, pregiudizi e anticorpiUn’opera realizzata da 21 illustratori di ogni parte del mondo per il progetto «Art Against Ebola», diretto da Otto Steininger

Il caso Due nuovi farmaci in fase di sperimentazione ridurrebbero la mortalità al 33-35%, contro l’attuale 70-80%. È però nella società che si può sconfiggere l’epidemia. Diffuso in un’area africana sconvolta dalla violenza, fin qui il contagio è stato contenuto grazie allo sviluppo della risposta sul campo più che ai progressi scientifici

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 8 dicembre 2019

Forse c’è una cura contro il virus Ebola. Anzi, se i dati sulle prime sperimentazioni sul campo saranno confermati, di cure potrebbero essercene due. A gioirne sono sopratutto gli abitanti della Repubblica Democratica del Congo (RdC) che da oltre un anno convivono con la seconda epidemia di Ebola più grave della storia. Circa 2200 persone sono morte a causa del virus, una cifra superata solo dall’epidemia che fece undicimila vittime in Guinea, Sierra Leone e Liberia tra il 2014 e il 2016.

I nuovi farmaci anti-Ebola per ora hanno due nomi tecnici, mAb-114 e REGN-EB3. Si tratta di anticorpi monoclonali, cioè di molecole dello stesso tipo di quelle utilizzate dai globuli bianchi per attivare la risposta immunitaria contro le malattie. Per sperimentarli, centinaia di ricercatori provenienti da diversi paesi e appartenenti all’Organizzazione Mondiale della Sanità, enti di ricerca, organizzazioni non governative e aziende farmaceutiche si sono uniti in un consorzio denominato «Palm», da «Pamoja Tulinde Maisha» che significa «salviamo vite insieme» in swahili.

IN CONDIZIONI DIFFICILI per la scarsità di infrastrutture e per le periodiche ondate di violenza che spesso coinvolgono i centri sanitari, i ricercatori hanno sperimentato le nuove molecole per verificarne l’efficacia e in vista di un’eventuale autorizzazione. Secondo lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, i due farmaci abbassano la mortalità del virus fino al 33-35% mentre, in assenza di cure adeguate, il virus risulta letale nel 70-80% dei casi.

I due anticorpi si sono dimostrati più efficaci rispetto a un’altra molecola denominata Zmapp, che nel 2015 in Guinea aveva dimostrato risultati incoraggianti. «Il risultato avvia un percorso che può portare alla commercializzazione di questi principi attivi», ha scritto il vaccinologo Myron Levine in un editoriale sulla stessa rivista. «Non potremo più dire che Ebola non può essere curata», ha affermato il congolese Jean-Jacques Muyembe-Tamfum, il leggendario «cacciatore di Ebola» (fu tra i suoi scopritori nel 1976) che oggi dirige le operazioni sanitarie nel paese ed è uno dei responsabili dello studio.

Sarebbe prematuro, però, sostenere che Ebola è stato sconfitto. Nella sperimentazione effettuata nel 2014, l’anticorpo Zmapp in Guinea aveva abbassato la mortalità al 22%, mentre in Repubblica Democratica del Congo si è fermato al 50%. È possibile che la risposta dei virus a uno stesso farmaco vari da un’epidemia all’altra. In questo caso, non è detto che i risultati promettenti dei nuovi farmaci siano replicabili in futuro.
Un altro dato suscita qualche dubbio: un quarto delle persone reclutate nella sperimentazione Palm ha affermato di essersi ammalato nonostante fosse stato sottoposto a vaccinazione.

IL VACCINO è stato appena approvato dall’Agenzia Europea del Farmaco, dopo aver dimostrato sul campo un’efficacia del 97,5% e per somministrarlo gli operatori sanitari sfidano la diffidenza della popolazione e la violenza delle milizie. Come mai si è dimostrato così poco efficace sui pazienti reclutati nel trial Palm?
Infine, non bisogna aspettarsi un forte aumento delle guarigioni: la mortalità tra i pazienti ospedalizzati in RdC è già al 35%, secondo i dati dell’Oms.

«NEI CENTRI SANITARI, quasi tutti i malati o sono stati curati con i nuovi anticorpi nel quadro della sperimentazione o grazie a un programma di accesso allargato», spiega al Manifesto Clifford Lane, direttore dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive e le allergie degli Stati Uniti e coordinatore dello studio. Dunque, l’attuale tasso di mortalità risente già dell’effetto benefico dei nuovi farmaci e non è destinato a migliorare molto in futuro.
In ogni caso, nelle ultime settimane l’intensità dell’epidemia è calata. A novembre i nuovi casi sono stati solo una quarantina. Potrebbe trattarsi di una variazione temporanea e qualche caso potrebbe essere sfuggito ai medici a causa dei disordini nella provincia del Nord-Kivu. Ma è indubbio che la tendenza sia positiva, se all’inizio dell’estate si contavano centinaia di ammalati ogni mese.

Il contenimento del contagio non è dovuto ai progressi della scienza, ma al miglioramento dell’organizzazione della risposta sul campo. Sono aumentati gli sforzi per coinvolgere le comunità e superare la diffidenza nei confronti degli operatori sanitari, una sorta di movimento «no-vax» locale alimentato dalle fazioni anti-governative. Il cambio di passo è coinciso con l’estromissione dell’ex-ministro della sanità Oly Ilunga, al centro di un’inchiesta per corruzione, e l’affidamento della direzione delle operazioni a Muyembe-Tamfum.

Ma i risultati positivi sono a rischio: negli ultimi giorni è iniziata una nuova ondata di proteste e violenze, in cui sono morti anche sei operatori anti-Ebola. Nell’ultimo mese, le milizie delle «Forze Democratiche Alleate» hanno compiuto numerosi massacri ai danni della popolazione civile con oltre cento vittime.

NELLA REGIONE è diffusa la sensazione che tali massacri avvengano con la complicità dell’esercito governativo e sotto gli occhi indifferenti dei caschi blu della missione Onu Monusco, e nei principali centri della regione (Goma, Beni, Butembo) sono in corso scioperi e manifestazioni di protesta. In queste condizioni, le attività di prevenzione sanitaria sono sospese, lasciando campo libero a Ebola e non solo. Nella RdC è in corso anche la peggiore epidemia di morbillo al mondo, con oltre quattromila morti – il doppio di Ebola – al 90% bambini. Ogni volta che il livello di tensione nella regione è salito, tutte le epidemie hanno toccato nuovi picchi ed è prevedibile che accada anche stavolta.

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Un BPA-gate negli Stati Uniti

Il Bisfenolo A (Bpa) è una molecola utilizzata nella produzione di materie plastiche, soprattutto di bottiglie e nei rivestimenti delle lattine. La sua presenza nell’organismo può generare squilibri nei livelli ormonali generando malattie ai danni del sistema riproduttivo che vanno dall’infertilità al cancro. Perciò, le autorità sanitarie in tutto il mondo monitorano il livello di bisfenolo. Uno studio pubblicato sulla rivista «Lancet Diabetes and Endocrinology» sostiene però che il metodo con cui la Food and Drug Administration (Fda) statunitense misura il livello di Bpa nell’organismo, e dunque il rischio legato al Bpa, sottostimi i valori reali. Il livello reale di Bpa nell’organismo sarebbe fino a 44 volte più alto. A differenza dell’Ue, negli Usa l’uso alimentare del bisfenolo è ritenuto sicuro e non è sottoposto a particolari limiti.

5.000 docenti contro l’Agenzia della Ricerca

Oltre 5mila ricercatori e professori universitari hanno firmato un appello contro l’istituzione dell’Agenzia Nazionale della Ricerca, prevista dalla finanziaria, lanciato dal «Movimento per la Dignità della Ricerca Universitaria», guidato dall’ex-docente del Politecnico di Torino (oggi in pensione) Carlo Ferraro. Secondo i firmatari, con l’Agenzia, «la politica entrerebbe a pié pari nel controllo delle Università e degli Enti di Ricerca», in quanto i vertici dell’Agenzia sarebbero di nomina governativa. Inoltre, il progetto porterebbe «ad indirizzare le risorse disponibili solo su alcune aree della ricerca». I firmatari difendono le prerogative della ricerca «senza necessità di finalizzazione immediata e materiale». Oltre al ritiro del progetto, l’appello chiede che i fondi vadano borse di studio, di dottorato e agli avanzamenti di carriera per ricercatori e docenti universitari.

Bambine «modificate», svelato l’esperimento

La rivista «Technology Review» ha potuto esaminare l’articolo originale in cui, proprio un anno fa, veniva descritto il primo esperimento di modifica genetica su due gemelle cinesi da parte del genetista Jiangkui He, rimasto finora segreto. Il documento conferma i sospetti già emersi, come le irregolarità delle autorizzazioni bioetiche e le complicità di scienziati di alto livello come il premio Nobel Craig Mello e John Zhang, direttore del New Hope Fertility Center di New York, tra i principali centri per la fertilità. Anche dal punto di vista scientifico, l’articolo dimostra che He non era riuscito a introdurre la mutazione desiderata nel gene Ccr5 al fine di conferire immunità contro il virus Hiv, ma un’altra le cui conseguenze non sono ben conosciute. He aveva proposto l’articolo a «Nature» e «Jama», che però ne avevano rifiutato la pubblicazione.

 

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