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Ebola, massacrati gli 8 membri del team dei soccorritori

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Guinea L’Onu: «Il virus minaccia per la pace»

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 20 settembre 2014

«Uccisi a sangue freddo dagli abitanti del villaggio» riferisce il portavoce del governo della Guinea Albert Damantang Camara. Sono morti così gli otto membri di un team che comprendeva amministratori locali, due ufficiali medici, un predicatore e tre giornalisti attaccati da una sassaiola mentre operavano nell’intento di fare informazione e prevenzione sulla diffusione del virus Ebola. L’incidente si è verificato martedì scorso a Wome, villaggio vicino alla città di Nzerekore, nel sud-est della Guinea, laddove è stato identificato nel mese di marzo il focolaio dell’infezione.

I corpi degli operatori attaccati da una folla armata di pietre e machete sono stati ritrovati, tre di loro sgozzati, in una fossa settica. Secondo quanto riferito dal primo ministro della Guinea Mohamed Saïd Fofana, sarebbero sei le persone arrestate perché ritenute i maggiori responsabili dell’accaduto.

Medici, operatori umanitari, attivisti e giornalisti impegnati in prima persona rappresentano le vittime dell’altra faccia di Ebola, quella dell’emergenza culturale legata alla disinformazione, alla paura, alle credenze popolari che stanno complicando gli sforzi per contenere la diffusione del virus, la più grave da quando è stato scoperto nel 1976 nelle foreste dell’Africa centrale. Paure e sfiducia nelle autorità locali che – come ha notato venerdì Pierre Formenty dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) – sono retaggio di decenni di corruzione e instabilità politica, come in Guinea, e di guerre civili, come in Sierra Leona e Liberia, i Paesi questi maggiormente colpiti ad oggi dall’epidemia. Dove, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Oms, Ebola a partire da marzo scorso ha ucciso circa 2.630 persone e infettato almeno 5.357, senza accennare a fermarsi e anzi registrando un’accelerazione senza precedenti con 700 casi emersi in Africa occidentale in appena una settimana e minacciando di infettare nei prossimi mesi più di 20,000 persone.

Non è la prima volta che le popolazioni locali si rivoltano contro personale umanitario e medico considerati paradossalmente untori, più che soccorritori.

Il mese scorso, tumulti sono scoppiati a Nzerekore, a 50 km da Wome, dopo rumours secondo cui alcuni medici stavano cercando di diffondere il contagio tra la gente mentre in realtà era in corso una disinfezione di un mercato locale.
Giovedì scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha dichiarato l’epidemia di Ebola in Africa una «minaccia per la pace e la sicurezza internazionale» e invitato tutti gli Stati a fornire risorse e assistenza urgenti per affrontare la crisi. I 15 Paesi membri hanno inoltre adottato all’unanimità una risoluzione con cui si invitano gli Stati «a revocare le restrizioni generali di viaggio e di frontiera che contribuiscono all’ulteriore isolamento dei Paesi colpiti e minano gli sforzi per rispondere».

Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha annunciato la nomina di un inviato speciale a capo della U.N. Mission for Ebola Emergency Response (Unmeer) a sostegno di una «mobilitazione rapida e massiccia» di persone, materiali e risorse finanziarie: «Questa missione internazionale (…) avrà cinque priorità: fermare l’epidemia, trattare gli infetti, garantire i servizi essenziali, preservare la stabilità e prevenire ulteriori focolai».

L’azione delle Nazioni Unite fa seguito a quella degli Usai che hanno annunciato l’invio di 3.000 soldati e la costruzione di 7 centri di trattamento, della Francia che aprirà un ospedale militare in Guinea, e di Cuba, Cina, Gran Bretagna e altri Paesi che si sono impegnati a fornire personale medico, centri di terapia e altre forme di sostegno.

Intanto da ieri è in corso in Sierra Leone un rigido coprifuoco di tre giorni che permetterà a circa 30,000 operatori sanitari di andare porta a porta per trovare e isolare casi di ebola e distribuire sapone.

La Sierra Leone è uno dei Paesi maggiormente colpiti dall’epidemia di Ebola in Africa occidentale, con oltre 550 vittime tra gli oltre 2.600 morti complessivi finora registrati. Le strade della capitale, Freetown, normalmente affollate, apparivano nella giornata di ieri deserte e pattugliate solo da macchine della polizia e del personale sanitario.

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