E Veltroni inscrive Bobbio tra i renziani
Iper-riformismo Un omaggio doveroso, ma dal contenuto assai discutibile, è quello che su La Stampa di ieri Walter Veltroni ha offerto alla memoria di Norberto Bobbio, nel decennale della sua morte. […]
Iper-riformismo Un omaggio doveroso, ma dal contenuto assai discutibile, è quello che su La Stampa di ieri Walter Veltroni ha offerto alla memoria di Norberto Bobbio, nel decennale della sua morte. […]
Un omaggio doveroso, ma dal contenuto assai discutibile, è quello che su La Stampa di ieri Walter Veltroni ha offerto alla memoria di Norberto Bobbio, nel decennale della sua morte. Per l’ex segretario del Pd, il senso della lezione che l’intellettuale torinese impartì alla sinistra italiana è il seguente: «se la sinistra è conservatrice non è sinistra. Se difende l’equilibrio dato, con il suo carico di ingiustizie e di diritti negati, viene meno al suo compito».
Et voilà: anche Bobbio reclutato nella folta schiera dei fautori del contemporaneo «riformismo», interpretato oggi da Matteo Renzi, continuatore del veltroniano «spirito del Lingotto». Sia chiaro: Bobbio era un riformista. Ma il suo riformismo è stato qualcosa che difficilmente può essere confuso con ciò che Veltroni declina in termini di «mutamento, dinamismo, innovazione»: parole-chiave con le quali dopo l’89 è stato costruito il discorso dominante della sinistra maggioritaria, che ha condotto a tutto tranne che a riforme che cambiassero in meglio la vita delle persone.
Veltroni insiste sul fatto che per Bobbio uno dei criteri di distinzione tra destra e sinistra fosse la contrapposizione tradizionalismo-innovazione, dimenticando che il filosofo riteneva invece che il nodo principale stesse «nel diverso giudizio positivo o negativo sull’ideale dell’eguaglianza». Già, proprio il tanto vituperato egualitarismo che – dicono spesso i dirigenti del Pd – sarebbe all’origine di tutti i nostri guai.
Per il liberalsocialista Bobbio, la sinistra era innanzitutto il «partito dell’eguaglianza», che dovrebbe favorire «le politiche che mirano a rendere più uguali i diseguali». Agli ex comunisti che negli anni Novanta pontificavano sulla «rivoluzione liberale», il gobettiano Bobbio diceva che avrebbe preferito «che un grande partito di sinistra risollevasse la bandiera della giustizia sociale, che era sempre stata quella sotto la quale avevano percorso una lunga strada milioni e milioni di uomini e donne che avevano fatto la storia del socialismo».
Non manca, nell’articolo di Veltroni, anche un Bobbio fautore delle riforme costituzionali, addirittura del presidenzialismo. Quanto di più lontano dalla realtà, se si considera che fu, al contrario, sempre molto scettico sull’illusione della «Grande riforma costituzionale», della quale primo sostenitore fu Bettino Craxi. Quel leader nella cui ascesa Bobbio vedeva i segnali inquietanti dell’affermarsi della «democrazia dell’applauso», di un plebiscitarismo che si è compiuto poi con il Ventennio berlusconiano.
E del severo giudizio di Bobbio sul berlusconismo nella prosa veltroniana non c’è traccia: d’altronde, mal si conciliano l’indimenticabile retorica sul «principale esponente dello schieramento avversario» con l’accostamento – intellettualmente rigoroso – che l’anziano studioso fece fra Berlusconi e la figura del «tiranno» descritta dai classici del pensiero politico.
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