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È un Italexit ma interno. La sinistra rincorre

Secessione Più che un’autonomia differenziata - processo conseguente va detto a quanto iniziato sotto il governo Gentiloni con la celebrazione di due referendum regionali - sembra un fuggi fuggi generale in cui le regioni si sono convinte di poter fare meglio da sé e senza il livello statale

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 13 febbraio 2019

Siamo distratti, vittime di una distrazione di massa che ci tiene a discutere su Sanremo per poi scoprire all’improvviso che nel frattempo stanno smontando pezzo a pezzo lo Stato italiano nell’inconsapevolezza generale.

L’articolo 116 della nostra Costituzione prevede il principio dell’Autonomia differenziata per le regioni richiedenti, ma i nostri padri costituenti non potevano immaginare che sarebbe stato forzato a tal punto da trasferire ad esse le competenze dirette di oltre 20 materie che oggi sono invece a “legislazione concorrente” con lo Stato. Sono il Veneto, la Lombardia, ma anche l’Emilia Romagna, le regioni che in questo momento stanno trattando un allargamento dei poteri: si va dalla tutela della salute e della sicurezza del lavoro all’alimentazione, dalla protezione civile e il governo del territorio ai trasporti e l’energia, dalla disciplina delle professioni ai rapporti internazionali e con l’Unione europea, fino al commercio con l’estero. Ma si prevede di intervenire anche su materie di competenza “esclusiva” dello Stato, quali l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali su istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Una specie di Italexit ma interno. A queste regioni si aggiungono le intenzioni di Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria e Marche. Insomma più che un’autonomia differenziata – processo conseguente va detto a quanto iniziato sotto il governo Gentiloni con la celebrazione di due referendum regionali – sembra un fuggi fuggi generale in cui le regioni si sono convinte di poter fare meglio da sé e senza il livello statale. Una fuga che non a caso riguarda le regioni del Nord che sembrano intenzionate a scappare con il bottino lasciando al loro destino le regioni del sud, tenute buone con un reddito di cittadinanza dalle ricadute e dal futuro incerto.

Insomma si inizia con tre e vale la pena notare che la regione che scalpita di più è proprio l’Emilia Romagna, gestita dal centro sinistra, che pensa forse così di trovare una via “di sinistra” alla secessione: una complicità inaccettabile che santifica l’esistenza di un’Italia di serie A ed una di serie B. Si perché di secessione si tratta nel momento in cui le singole regioni, in campo ambientale, diventeranno autonome ad esempio in materia di difesa del suolo, di tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche, sulla gestione dei rifiuti, sulla bonifica dei siti inquinati, per la tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera ed infine per la prevenzione e ripristino ambientale e in materia di aree protette.

L’accordo tra Regioni e Stato arriverà in aula a scatola chiusa e in un’epoca in cui denigrare il parlamento è sport nazionale sarà rapidamente approvato. La sensazione è che stiamo perdendo l’ennesima occasione per rigenerare questo Paese magari scrivendo un nuovo patto solidale tra livelli istituzionali diversi riconoscendo e superando i ritardi e i problemi che hanno portato nei decenni ad una differenza di efficienza amministrativa e di qualità dei servizi abissale, ai limiti della secessione di fatto.

Credere però che si possa uscire dalla crisi chiudendosi nel proprio territorio in una sorta di sovranismo regionale è una follia. Ci sono sfide epocali che ci attendono, e forse proprio nel campo ambientale è più evidente l’assurdità della strada imboccata. Come si fa a portare avanti politiche ambientali virtuose senza avere una forte cabina di regia nazionale e di impronta solidaristica? Salvarsi da soli, oppure a diverse velocità, non si può, né a livello internazionale né a maggior ragione a livello locale.

Sarebbe invece utile ragionare del ruolo delle città metropolitane ad esempio, di come costruire una rete reale di collaborazione e strategia, o di come costruire progetti di sviluppo per aree dalle caratteristiche simili come quelle cosiddette interne. Bisogna cambiare certo ma non distruggendo o separando piuttosto immaginando nuove funzioni e sinergie che ci colleghino all’Europa, al mondo. Ce la fa la sinistra, attraverso le Regioni che ancora governa, a fare una proposta diversa o rincorriamo la destra pure su questo?

*Deputata di Leu

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