Il quadro non è appariscente, ma è tra i più significativi. Su una striscia rettangolare di carta sono tratteggiati a matita quattro ovali: il primo è quello di un gatto himalaiano che, cancellate le orecchie e curvando gli occhi all’ingiù, si trasforma nel volto di un extraterrestre «buono». A quarant’anni dall’uscita del film e a dieci dalla scomparsa di Carlo Rambaldi, porta il visitatore nella wunderkammer del laboratorio creativo del maestro degli effetti speciali E.T. – La mostra 1982-2022, aperta fino al 29 gennaio dalla Cineteca di Milano negli spazi del museo interattivo del cinema Mic. Un viaggio pieno di sorprese e meraviglia, ma dal filo rosso rigorosamente filologico tra disegni, bozzetti preparatori, storyboard, gadget d’epoca, e soprattutto le creature animatroniche originali realizzate per il film di Steven Spielberg dal nostro tre volte premio Oscar (prima di E.T., vinse per Alien e King Kong), affidate per la digitalizzazione e il restauro – come tutto l’archivio dell’artista – alla Cineteca di Milano dai figli Daniela e Victor Rambaldi.

E PROPRIO gli eredi Rambaldi, allora molto giovani, videro con i loro occhi la nascita della creatura. Una genesi precipitosa perché E.T. come lo conosciamo oggi, spiegano videodidascalie a inizio percorso, è il risultato di un ripensamento improvviso di Spielberg che in origine doveva realizzare un horror, Night Skies, in cui classici alieni malvagi devastano una fattoria abitata da una famigliola indifesa: «La preproduzione era già avviata – racconta Victor Rambaldi – nel frattempo Spielberg però completa il primo Indiana Jones, in Inghilterra, e ha una sorta di crisi mistica, forse anche perché si stava separando dalla prima moglie, e mette tutto in discussione. Quando rientra a Los Angeles vede quello che gli specialisti di Hollywood avevano creato, il prototipo di un alieno cattivo, con gli unghioni e le squame, e cambia radicalmente idea. Decide di fare un film opposto, su un alieno buono che scende sulla Terra e fa amicizia con un bambino».
L’idea è una novità assoluta, e piace. Ma il tempo stringe, e il regista ha già perso otto mesi sulla tabella di lavorazione. Disperato, si rivolge a Rambaldi: «Aveva già lavorato con mio padre per Incontri ravvicinati del terzo tipo. Lo chiama una fatidica notte, verso l’una: “Sono Steven Spielberg, ho un problema”. Ci convoca per la mattina dopo, alle otto e mezzo, alla Universal. Dice che vuole un extraterrestre brutto, un “vecchio giovane”, e, cosa più importante, che sia innocente». E qui entra in campo Chicca, la gattina himalaiana di tre mesi di casa Rambaldi. Carlo la guarda, ha una folgorazione. Si ispira al suo muso triangolare, e per trovare l’innocenza ingrandisce ancora di più gli occhioni azzurri della cucciola, come mostra il bel disegno esposto al Mic. Dagli schizzi realizza il primo modellino in creta e lo fa vedere alla figlia Daniela, allora undicenne, che decreta: «È bruttino, però è simpatico». Il primo test è superato.

IL RESTO è storia, da scoprire al museo in un dietro le quinte molto emozionante. Tra le chicche lo storyboard originale, l’agenda dell’epoca di Rambaldi (sotto la S, il numero di telefono di Spielberg viene dopo quello di un medico), il vinile dell’audiolibro di Micheal Jackson sul film, e il videogioco «maledetto» che andò così male che la Atari ne seppellì le copie nel deserto del New Mexico, alla faccia dell’ecologia. Scintilla la statuetta originale dell’Oscar vinto da Carlo Rambaldi e stupiscono gli schizzi preparatori, con lo studio minuzioso del numero incredibile di espressioni facciali dell’alieno. Sorprende anche scoprire che di E.T. non ne venne realizzato uno, ma tanti. C’è la testa recitante, la più preziosa, da cui fuoriescono decine di fili, uno per ogni sfumatura espressiva: poteva fare quaranta movimenti. E poi l’E.T. morente, le maschere utilizzate nelle varie scene, i guanti indossati dal mimo che riproduceva i movimenti più sofisticati, e le spettacolari meccaniche interne degli animatronici: robottini tutti metallo e cavi, ancora funzionanti dopo il restauro certosino. Affidato al team di Leonardo Cruciano, l’erede attuale di Rambaldi, David di Donatello per gli animali fantastici del Racconto dei racconti di Garrone.