Il nuovo governo catapultato a Tripoli dall’Onu sotto la guida di Fayez el Serraj potrebbe segnare presto l’inizio della terza fase della missione europea Eunavfor Med-Sofia, varata a luglio del 2015 da Bruxelles per contrastare il traffico di migranti nel Mediterraneo. Si tratta della fase più delicata, quella che prevede l’ingresso delle unità navali guidate dall’ammiraglio Enrico Credendino nelle acque territoriali libiche a caccia degli scafisti, ma anche la possibilità di impiegare piccole unità di sabotatori nei porti del paese nordafricano con l’obiettivo di distruggere i barconi utilizzati dai trafficanti per trasportare i migranti verso le nostre coste.
Anche se lo scopo della missione è limitato al contrasto delle organizzazioni criminali che lucrano su quanti fuggono da guerra e povertà, quelli che affonderanno i barconi degli scafisti potrebbero essere i primi soldati europei a mettere ufficialmente gli scarponi sul terreno con tutti i rischi che questo comporta, anche se le operazioni dovrebbero avvenire con il consenso e la collaborazione delle nuove autorità libiche.
Perché questo avvenga servono adesso solo due cose, oggi meno improbabili rispetto solo a qualche settimana fa: una richiesta ufficiale di intervento da parte del governo che si appena insediato a Tripoli e una risoluzione Onu che dia alla missione europea il quadro legale di cui ha bisogno.
Risoluzione rimasta bloccata fino a oggi in Consiglio di sicurezza per l’opposizione di Russia e Cina.
La missione europea rischia però di incrociarsi con il sempre più possibile intervento armato in Libia e legato anch’esso a una richiesta da parte di Serraj. Intervento che potrebbe coinvolgere l’Italia, anche se dopo gli annunci di qualche mese fa, quando si propose alla guida della coalizione internazionale, palazzo Chigi ha fatto ora marcia indietro. Ieri Renzi ha negato di aver affrontato il dossier libico con Barack Obama e le posizioni tra i due resterebbero distanti. Il presidente americano preme infatti per un intervento in tempi stretti con la partecipazione anche del nostro paese, al contrario di Renzi che non ha alcuna voglia di farsi coinvolgere in una guerra, sia perché teme il ripetersi degli errori già commessi nel 2011, sia per le possibili conseguenze che potrebbe avere sul piano della sicurezza interna. «Noi siamo quelli che più di altri stiamo dando una mano perché la Libia esca da questa situazione» ma questo «non significa che una mattina ci alziamo e andiamo a bombardare come vorrebbe qualcuno», ha ribadito anche ieri da Washington il premier.
Il quadro in cui la missione Sofia potrebbe trovarsi ad operare rischia quindi di essere molto più complicato rispetto alle previsioni, al punto da far apparire difficile un suo non coinvolgimento in azioni che esulano dagli obiettivi originari.
Al momento lungo il confine con le acque libiche navigano sei unità: oltre alla portaerei Cavour, a bordo della quale si trova il comando della missione, 4 fregate (francese, britannica, spagnola e tedesca) e una nave appoggio tedesca. Inoltre sono impiegati 7 tra aerei ed elicotteri. Nonostante dalla primavera dell’anno scorso l’apertura della rotta balcanica abbia ridotto notevolmente i flussi attraverso il Mediterraneo il bilancio della missione è altamente positivo, come ha ricordato pochi giorni fa lo stesso Credendino: più di diecimila migranti salvati, 84 barconi distrutti e 53 scafisti arrestati. Il tutto senza entrare nelle acqua libiche, 12 miglia nelle quali continua a morire la maggior parte dei disperati che tentano di raggiungere l’Europa.
Una situazione che adesso potrebbe però cambiare presto, con la missione europea autorizzata a intervenire anche in acque libiche. E forse nonsolo in quelle.