È proprio l’ora dei ragazzi, italiani e stranieri
Voto a 16 anni Con i giovani oggi in minoranza dal punto di vista degli equilibri demografici, la demografia ci suggerisce che il limite a 18 anni è anacronistico. Uno shock socio-culturale, quello del voto ai sedicenni, che dovrebbe essere ulteriormente rinforzato dal diritto alla cittadinanza italiana degli stranieri, applicando le regole più adatte al caso italiano
Voto a 16 anni Con i giovani oggi in minoranza dal punto di vista degli equilibri demografici, la demografia ci suggerisce che il limite a 18 anni è anacronistico. Uno shock socio-culturale, quello del voto ai sedicenni, che dovrebbe essere ulteriormente rinforzato dal diritto alla cittadinanza italiana degli stranieri, applicando le regole più adatte al caso italiano
Il voto ai sedicenni non è sola un hashtag su Twitter o un like su Facebook. È una proposta che, da anni, è viva nel dibattito europeo e, ora, è anche un tentativo di accordo tra i due partiti al Governo. O, almeno, un’esplorazione in corso, dagli esiti ancora incerti. Oltre la cronaca politica, la questione ha più di un motivo di interesse. Non solo legato alla questione ambientale. La demografia, anzitutto.
Con i giovani oggi in minoranza dal punto di vista degli equilibri demografici, la demografia ci suggerisce che il limite a 18 anni è anacronistico, codificato dopo la seconda guerra mondiale quando la struttura della popolazione era ben diversa, con moltissimi under 18 e una minore percentuale di anziani. Nel contesto odierno, invece, i pochi sedicenni potrebbero votare senza “pesare” troppo, anzi riequilibrando i rapporti di potere tra le generazioni. L’agenda politica, poi, troppo schiacciata sul presente, se ne gioverebbe per la maggiore rilevanza di obiettivi di lungo periodo, dalla questione ambientale, ai meccanismi di creazione e distribuzione della ricchezza, ai diritti civili. Ma vi sarebbero chiari effetti positivi anche per la necessaria (ri)messa in squadra di partecipazione sociale e capacità di voce politica, che darebbe nuova energia agli istituti di democrazia diretta e rappresentativa ora non esattamente in ottima salute, logorate dal troppo scarso utilizzo.
Il “movimento Greta” – globale, pacifico e propositivo – rappresenta la più grande occasione che i sistemi liberal-democratici della vecchia Europa, con l’Italia in prima fila, hanno per salvarsi. L’ultima chiamata. Non ce ne saranno altre.
L’occasione per cambiare la domanda politica, destrutturando l’agenda nativista e sovranista alla base, nella sua capacità egemonica di unica e possibile risposta alle mancate promesse che – almeno nel vecchio mondo – hanno generato paura e confusione in un elettorato vecchio e nostalgico. Prendere davvero sul serio il “movimento Greta”, però, richiede di mettere al centro non solo la questione ambientale, ma i temi di giustizia sociale e di modello produttivo che a questa sono connessi.
Questa è la posta in gioco che si cela dietro la discussione sul voto di sedicenni: il cambiamento della domanda politica, il rinnovamento dell’agenda pubblica e dei punti focali che strutturano il dibattito politico. Cambiamenti, questi, che non possono attendere uno scatto in avanti dell’offerta politica, come se questa diventasse improvvisamente capace di ricostruire un’agenda con al centro i temi urlati dai sedicenni senza voto: libertà sostanziale delle persone e creazione e distribuzione di ricchezza, in armonia con partecipazione, ambiente e territorio.
Neppure, però, è possibile aspettare un cambiamento della domanda trainato dai tempi lunghi della storia. Non possiamo più aspettare. Come recita un libro del climatologo Luca Mercalli, “Non c’è più tempo”.
Ciò che il “movimento Greta” mette in campo è la prospettiva di un cambiamento più veloce, di breve periodo. Uno shock socio-culturale, quello del voto ai sedicenni, che dovrebbe essere ulteriormente rinforzato dal diritto alla cittadinanza italiana degli stranieri, applicando le regole più adatte al caso italiano. Come sappiamo le proposte ragionevoli non mancano. I due cambiamenti troverebbero una composizione efficace negli elettorati, e quindi negli interessi, dei due partiti al Governo: l’elettorato teen pro-Movimento5S e gli stranieri regolarizzati pro-Pd, almeno in maggioranza. Il clima politico generale e il dibattito pubblico sarebbero così sveleniti da argomenti violenti e livorosi, capaci solo di fomentare paura, odio e rancore.
È, quindi, un’occasione unica, anzi l’ultima, per riportare la competizione politica nell’alveo della tradizione europea. In alternativa, gli assetti politici potrebbero radicalmente virare verso sistemi autoritari, senza neppure più la parvenza delle istituzioni liberal-democratiche. Certo, non tutti sono favore, soprattutto per il rischio politico che tali scelte comportano. E solo l’incapacità di assumersi questo rischio fa dire ad Alessia Morani che «il momento non è ora». Tutto sbagliato. È proprio ora.
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