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È ora che paghino i ricchi

È ora che paghino i ricchi

Nuova Finanza Pubblica Governare significa scegliere da quale punto osservare il mondo, e la pandemia obbliga a decidere se questo modello economico-sociale deve proseguire

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 28 novembre 2020

In attesa che la fondamentale discussione sull’apertura o meno dei campi da sci trovi una conclusione consona alla statura politica e culturale del Paese, è forse giunto il momento di spiegare a governo e classe politica che il rilancio dell’economia -di questa economia- assomiglia alla ruota del criceto, che, per quanti sforzi faccia, si ritrova costantemente al punto di partenza.
Il fatto è che l’idea di essere tutt* sulla stessa barca fa acqua da tutte le parti, e stare su un barcone o su uno yacht non sono solo due modi diversi di viaggiare.

Governare significa scegliere da quale punto osservare il mondo, e la pandemia obbliga a decidere se questo modello economico-sociale deve proseguire, costringendo la gran parte della popolazione a scegliere oggi tra reddito e salute e domani tra debito e diritti, o se è ora che si inverta decisamente la rotta.

“È ora che paghino i ricchi”: quale parte di questa frase non è chiara a governo e arco parlamentare? Proviamo a spiegarglielo con due esempi. Per il primo, ci facciamo aiutare dal rapporto “The State of Tax Justice 2020” redatto da Tax Justice Network, secondo il quale al nostro Paese ogni anno viene sottratto -grazie alla libertà di movimento dei capitali, ai paradisi fiscali e ai paesi a fiscalità agevolata- un valore di 10,5 miliardi di euro, che, per dare l’idea, garantirebbe la copertura dello stipendio di 380.000 infermieri.

Vogliamo aprire un contenzioso forte dentro l’Europa per imporre che la tassazione delle multinazionali sia legata a dove svolgono l’attività e non a dove hanno collocato la sede legale?

Vogliamo dire che, finché non verrà attuata questa disposizione, non ci sono vincoli finanziari che tengano, e si spende tutto quello che è necessario per assumere medici e infermieri per la sanità pubblica e insegnanti e personale per la scuola pubblica?
Per il secondo esempio, ci facciamo aiutare dallo studio 2019 del Boston Consulting Group sulla ricchezza privata, secondo il quale in Italia le persone “affluenti” (con un reddito tra i 200mila e il milione di euro) sono 1,5 milioni. Oltre a queste, 400.000 persone detengono oltre il milione di euro e 36 di loro sono “Paperoni” che possiedono oltre il miliardo di euro.

Vogliamo applicare da subito una tassa patrimoniale progressiva, finendola con la narrazione dello Stato che non può mettere le mani nelle tasche degli italiani, essendo solo quelle dei ricchi sinora intonse? In attesa, vogliamo applicare da subito un raddoppio dell’aliquota sulla ricchezza finanziaria (circa 5mila miliardi) oggi tassata al 26%, ovvero meno di un reddito da lavoro di 16.000 euro/anno?

E vogliamo riformare l’Iva, diminuendo quella sui beni di consumo e aumentando esponenzialmente quella sui beni di lusso?
Abbiamo un sistema fiscale che ha perso dal 1974 la progressività stabilita dalla Costituzione, aumentando le tasse per le fasce deboli della popolazione e diminuendole drasticamente per i super ricchi: se avessimo mantenuto i criteri di allora, oggi le aliquote Irpef andrebbero dal 12% all’86%, invece che avere l’attuale vergognosa forbice che va dal 23% al 43%.

Un sistema fiscale che, dal 1974 ad oggi, ha comportato 146 miliardi in meno di gettito, per ovviare al quale lo Stato è ricorso ai mercati finanziari, accollandosi, in virtù degli interessi composti, quasi 300 miliardi di debito, pari al 13% di tutto il debito accumulato.

Come si vede, i soldi ci sono, sono tanti e persino troppi. Il problema è che sono tutti nelle mani sbagliate e vanno ricollocati per uscire dall’economia del profitto e costruire la società della cura. È venuto il momento di farlo capire con forza a chi continua a discutere solo di discese libere e di digestivo nella grolla a fine giornata.

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