È «morte all’America» oppure no? L’Iran spaccato
L’Iran, dopo più di trent’anni di gelo con l’arcinemico americano, è pronta ad abbandonare il vecchio slogan «Margh bar Amrika (Morte all’America)»? Per ora non è chiaro. Nonostante la nuova […]
L’Iran, dopo più di trent’anni di gelo con l’arcinemico americano, è pronta ad abbandonare il vecchio slogan «Margh bar Amrika (Morte all’America)»? Per ora non è chiaro. Nonostante la nuova […]
L’Iran, dopo più di trent’anni di gelo con l’arcinemico americano, è pronta ad abbandonare il vecchio slogan «Margh bar Amrika (Morte all’America)»? Per ora non è chiaro. Nonostante la nuova linea politica della Repubblica islamica sia volta al riavvicinamento con l’Occidente, qualcuno a Tehran non ci sta. E ha tappezzato la capitale di nuovi poster anti-americani.
Una settimana fa, invece della Statua della Libertà-scheletro, sui muri della capitale campeggiava l’immagine di un diplomatico americano in giacca e cravatta che, sotto al tavolo negoziale, indossa pantaloni mimetici e punta una pistola contro l’inviato iraniano. Oppure, in un’altra immagine, tiene un dobermann accanto a sé. Sotto, in farsi, una scritta recita «Onestà americana». Domenica, invece, altri poster hanno cominciato a circolare per la capitale: «Non opprimiamo e non permettiamo che qualcuno ci opprima». I cartelloni, rimossi sabato scorso per ordine dalle autorità, mostrano la spaccatura in atto nella società iraniana: da un lato una nuova amministrazione che, con la benedizione della Guida Suprema Ali Khamenei, vuole fare concessioni sul nucleare con l’intento di spezzare l’embargo che da anni grava sulle casse della Repubblica islamica. Dall’altro le forze più conservatrici del Paese, preoccupate per quelle che giudicano «concessioni non necessarie» agli «oppressori» di sempre.
A capo della protesta silenziosa contro le scelte del nuovo governo ci sono le Guardie Rivoluzionarie, primo nucleo paramilitare di fedelissimi della rivoluzione islamica. Secondo l’Associated Press, l’alta qualità dei poster mostra come dietro la loro produzione e diffusione ci siano gruppi ben finanziati, come appunto le Guardie Rivoluzionarie o la milizia paramilitare Basij. Ed è proprio il capo dei Basij di Tehran, Mohsen Pirhadi, a confermare l’ordine di affissione: «Questi poster – ha dichiarato Pirhadi – erano in linea con gli interessi del sistema».
«Il nostro popolo non ha visto altro che la disonestà, l’inganno della pubblica opinione, il tradimento e le pugnalate alle spalle degli americani durante gli anni passati – dice il politico conservatore Ahmed Reza Taraqi – Quindi, non si può fidare delle promesse americane e dei sorrisi ingannatori». «Perché un gruppo – ha chiesto in Parlamento il deputato conservatore Hamid Raseai – cerca di cancellare 34 anni di onore di una Nazione?».
Queste dichiarazioni mostrano come sia difficile per la società digerire il fatto che tutto sia improvvisamente cambiato. A partire dalle moschee. Mentre la delegazione iraniana era impegnata nel primo giro di colloqui con il 5+1 a Ginevra due settimane fa, l’ayatollah Movahhedi Kermani guidava la preghiera della festa del Sacrificio in cui migliaia di fedeli erano intenti a gridare «Morte all’America». Ultraconservatori, certo, ma non gli unici.
È più di un mese che, viste le aperture agli Stati Uniti, in Iran si discute se sia ancora opportuno gridare il famoso slogan. Un dibattito aperto dall’ex presidente riformista Akbar Hashemi Rafsanjani che, in un’intervista all’inizio di settembre, aveva dichiarato di non essere d’accordo sul fatto che «dovremmo scandire “morte a qualcuno” nei raduni pubblici», ricordando un colloquio con l’ayatollah Khomeini in cui il fondatore della Repubblica islamica «concordava sul fatto che “Morte all’America” andrebbe eliminato».
Anche il presidente Hassan Rowhani, in vista dei colloqui a Ginevra, aveva detto che l’Iran può affrontare «le potenze che minacciano i nostri interessi nazionali con la prudenza piuttosto che con gli slogan», eppure un analista interrogato dal Financial Times ha sottolineato che sarà difficile liberarsi di un’espressione «che è stata lo slogan ufficiale del regime per così tanto tempo». Intanto le forze conservatrici, per voce di un generale, hanno fatto sapere che verrà organizzata una manifestazione per il 34esimo anniversario della presa degli ostaggi all’ambasciata americana. E che il grido «Morte all’America e al sionismo globale» risuonerà in tutte le città e i villaggi dell’Iran.
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