È la disoccupazione, bellezza
Istat I dati sul lavoro a giugno: 22mila disoccupati in più, la stagnazione continua. Il governo parla di lavoro con argomentazioni strumentali, quando non manifestamente fuorvianti e parziali. Per Renzi è «piccola ripartenza, ma c’è molto da fare». Poletti si giustifica: «I numeri fluttuano perché siamo all’inizio della ripresa». Vediamo come stanno, davvero, le cose
Istat I dati sul lavoro a giugno: 22mila disoccupati in più, la stagnazione continua. Il governo parla di lavoro con argomentazioni strumentali, quando non manifestamente fuorvianti e parziali. Per Renzi è «piccola ripartenza, ma c’è molto da fare». Poletti si giustifica: «I numeri fluttuano perché siamo all’inizio della ripresa». Vediamo come stanno, davvero, le cose
Sostiene l’Istat che il primo semestre 2015 si è chiuso con un andamento del mercato del lavoro per nulla positivo: a giugno il tasso di disoccupazione per l’intera popolazione è tornato al 12.7% e quello giovanile raggiunge il 44.2%. Il numero di occupati continua a diminuire a giugno di 22 mila unità in un mese, dopo il calo di maggio di 74 mila unità. Diminuisce anche il tasso di inattività, spiegato dalle condizioni drammatiche in cui versano le famiglie e non dalla fiducia ritrovata (che proprio a giugno mostra un calo significativo), come invece vuole farci credere il governo.
Il calo del numero di occupati a giugno è stato trainato interamente dalla componente maschile e giovanile. Nel confronto con giugno 2014, in Italia ci sono 40 mila occupati in meno: mentre per gli uomini il numero di occupati diminuisce (-82 mila), per le donne aumenta specularmente (+42 mila unità). Rispetto allo stesso mese del 2014, il tasso di disoccupazione maschile è aumentato del 7.5% (da 11.5 a 12.3 percento), mentre quello femminile è diminuito del 3%, rimanendo comunque a un livello (13.1%) di gran lunga superiore alla media europea. Nello stesso periodo, il tasso di occupazione dei giovani tra i 14 e i 25 anni è crollato dell’8% in un anno.
Variazioni considerevoli riguardano anche il numero di inattivi (-18 mila rispetto a maggio) e il corrispondente tasso di inattività, entrambi in diminuzione e trainati dalla maggior ricerca di lavoro da parte delle donne (-34 mila), mentre gli uomini sembrano sempre più scoraggiati. Tuttavia, i dati confermano che tra maggio e giugno l’aumento del tasso di disoccupazione è dovuto più alla riduzione del numero di occupati che a quella relativa agli inattivi. Al contrario, sul confronto tendenziale con giugno dello scorso anno, è vero che la riduzione del tasso di disoccupazione è determinato principalmente dal calo degli inattivi.
Il governo che doveva risolvere – come molti altri che l’hanno preceduto – la disoccupazione, fenomeno strutturale aggravato dalla crisi, si rivela di fatto inadeguato ad affrontare il problema: l’unica politica attiva è stata quella di regalare alle imprese miliardi di sgravi sul costo del lavoro da utilizzare liberamente per accrescere la propria liquidità e profitti piuttosto che investire e creare occupazione. Il governo non è soltanto incapace di far fronte a un fenomeno drammatico, ma appare anche deleterio, data l’assenza di programmazione e i tagli al welfare. Se è presto per giudicare in modo esaustivo il JobsAct, rimane incontestabile che dall’insediamento del governo Renzi, il tasso di disoccupazione sia aumentato del 3.5% a fronte di un calo del tasso di inattività di un esiguo 0.2%.
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Il JobsAct pare non avere alcun effetto migliorativo sul mercato del lavoro. Di fronte a questo quadro per nulla positivo, governo e entourage provano ad evadere il dato sui disoccupati per mezzo di argomentazioni strumentali, quando non manifestamente fuorvianti e parziali. Non si può dar torto al responsabile economico Pd Filippo Taddei quando afferma che il tasso di occupazione segue quello del Pil, tuttavia il paragone è quantomeno infelice: in Italia, la crescita del Pil segnata nel primo trimestre 2015 è di appena lo 0.3% rispetto al trimestre precedente quando era negativa: a conti fatti la situazione, purtroppo, è quella di un paese in piena stagnazione e i cui deboli segnali positivi provengono dall’andamento dell’economia europea e globale e non certo da una ritrovata vitalità del sistema Italia. Il Pil nel primo trimestre del 2015 è cresciuto meno di 20 euro a persona, per un totale di 1.181 miliardi di euro in più rispetto all’ultimo trimestre del 2014, mentre nello stesso periodo la domanda per consumi delle famiglie continua a diminuire dato che la crescita non è uguale per tutti.
Pur di trovare un segnale di miglioramento il ministro del lavoro Giuliano Poletti considera la riduzione delle ore di cassa integrazione come un aspetto inequivocabilmente positivo. Ma i dati sulle ore lavorate pubblicati dall’Istat riguardo al primo trimestre di quest’anno segnalano come le ore lavorate aumentino a fronte di una riduzione degli occupati, soprattutto i dipendenti nell’industria. Ciò indica che sempre più lavoratori sono chiamati a fare straordinari a condizioni non sempre vantaggiose. Rispetto alla Cig si cela il fatto che la cancellazione di alcune tipologie come quella per cessazione di attività, ha modificato lo status dei lavoratori, che sono adesso in mobilità e quindi il numero di ore di cig non può che diminuire. Ma le ore di cig diminuiscono anche data la minore copertura degli ammortizzatori in continuità di contratto e nel caso di cessazione di attività. Un dettaglio non fornito dal governo.
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