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«È il ruolo dell’Iran riconosciuto da Obama che irrita Riyadh»

«È il ruolo dell’Iran riconosciuto da Obama che irrita Riyadh»

Nucleare Intervista. Parla l'analista Oraib al Rantawi. «L'Arabia saudita e i suoi alleati, proprio come Israele, sanno che i rapporti di forza nella regione si modificheranno e che l'Iran, che già gioca un ruolo di primo piano in Medio Oriente, avrà un peso persino maggiore a scapito delle loro strategie regionali»

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 17 luglio 2015

Da tre anni Khaled Mashaal, il leader di Hamas, non andava in visita in Arabia saudita. I rapporti tra i Saud e il movimento dei Fratelli Musulmani, del quale Hamas rappresenta il ramo palestinese, sono sempre stati pessimi. Eppure nessuno è rimasto sorpreso quando mercoledì sera Meshaal è atterrato a Riyadh assieme al numero due di Hamas, Musa Abu Marzouq, e a, Saleh al Arouri, uno dei comandanti militari dell’organizzazione. Re Salman dell’Arabia saudita ha deciso di mettere da parte la storica inimicizia con i Fratelli Musulmani. La sua priorità ora è stringere un’alleanza tra Stati e movimenti sunniti nella regione per contrastare gli esiti strategici dell’accordo di Vienna che ha riconosciuto il programma nucleare iraniano e, di conseguenza, il ruolo di potenza regionale di Tehran. Nel caso di Hamas, Salman pensa di spingere gli islamisti palestinesi a troncare i rapporti che sempre mantengono con l’Iran. Già la scorsa primavera Riyadh ha formato una coalizione militare sunnita contro i ribelli sciiti Houthi in Yemen e ha ottenuto dal Vertice della Lega Araba la costituzione di una forza araba di pronto intervento da opporre, ma senza dirlo apertamente, alle “ingerenze” nella regione del “nemico sciita persiano”. L’Arabia saudita e le altre petromonarchie del Golfo – forti sino a qualche giorno fa dell’isolamento in cui gli Stati Uniti hanno tenuto per oltre 30 anni l’Iran – faranno quanto è in loro potere per boicottare l’Accordo di Vienna voluto dall’Amministrazione Obama e per dimostrare che è stato un “errore”. Proprio come farà anche il premier Benyamin Netanyahu che da mesi parla di un fronte israelo-sunnita contro l’Iran. Su questi temi abbiamo intervistato l’analista Oraib al Rantawi, editorialista del quotidiano giordano Addostour e direttore dell’Alquds Center per gli Studi Strategici di Amman.

 

 

L’Arabia saudita comincia a mobilitare amici e alleati per contrastare i riflessi dell’accordo raggiunto a Vienna e apre le porte anche ad Hamas

 

Era scontato. Occorre comprendere il punto che riguarda la fine dell’isolamento politico, economico e finanziario dell’Iran. Gli oppositori dell’accordo raggiunto a Vienna e della linea del compromesso portata avanti dall’Amministrazione Usa, mi riferisco ad alcune monarchie arabe e a Israele, per tutta la durata delle trattative hanno ripetuto che le intese avrebbero dato il via libera a Tehran per la costruzione di ordigni atomici. Il punto vero tuttavia è un altro. Il ritorno dell’Iran a normali relazioni con l’Occidente, darà un deciso impulso alla crescita economica e all’influenza politica e diplomatica della Repubblica islamica. Ecco perchè si parla giustamente di una svolta storica. L’Arabia saudita e i suoi alleati, proprio come Israele, sanno che i rapporti di forza nella regione si modificheranno e che l’Iran, che già gioca un ruolo di primo piano in Medio Oriente e nelle gravi crisi in atto, avrà un peso persino maggiore a scapito delle loro strategie regionali. Non solo. Il petrolio iraniano tornerà ad essere venduto senza restrizioni e la ricchezza del Paese è destinata a crescere in modo netto. Sta qui, in questo cambiamento, il motivo di tanta preoccupazione da parte di certi Paesi arabi e di Israele, prima viene la geopolitica e in seconda battuta l’ipotetica costruzione della bomba atomica.

 

 

Questa svolta perciò avrà riflessi anche nelle crisi di Siria e Yemen.

 

Senza alcun dubbio. Ma non tanto dal punto di vista militare. La situazione sul terreno in Siria è molto complessa e gli attori sul palcoscenico e dietro le quinte sono decine. Lo stesso vale per lo Yemen, anche se in misura diversa. Il cambiamento avverrà a livello diplomatico. Il presidente Obama ormai parla dell’Iran come parte di una soluzione per le questioni aperte del Medio Oriente. Quindi non credo che l’Arabia saudita o altri paesi possano porre un nuovo veto, come hanno fatto per le conferenze tenute Ginevra, alla partecipazione dell’Iran a un nuovo tavolo di trattativa per una soluzione negoziata della guerra in Siria. E lo stesso sarà per lo Yemen.

 

 

E per l’Iraq?

 

In quel caso, anche dal punto di vista militare, il ruolo dell’Iran è stato inquadrato in modo diverso dagli occidentali. L’interesse comune, la lotta all’Isis, vede di fatto iraniani e americani combattere dalla stessa parte. L’Arabia saudita e altri paesi temono che quel modello possa essere replicato in altri scenari.

 

 

Ma gli Stati sunniti sono davvero tutti schierati con Riyadh e contro l’Iran

 

Niente affatto. La Giordania, ad esempio, aveva cercato di rafforzare i contatti con l’Iran prima dell’attacco saudita in Yemen, perchè non si sente minacciata da Tehran o almeno non nella stessa misura dell’Arabia saudita. Lo stesso vale per l’Egitto. I rapporti con l’Iran sono sempre stati difficili (dopo la rivoluzione di Khomeini alla fine degli anni 70, ndr) ma questo non significa che il Cairo desideri uno scontro frontale. Posizioni diverse si registrano anche tra le altre monarchie sunnite del Golfo, alcune condividono la stessa linea di Riyadh, altre esitano (Oman, ndr).

 

 

Tirando le somme il re saudita Salman dalla sua parte ha soprattutto Israele.

 

Le due parti condividono molti giudizi e interessi quando sul tavolo c’è l’Iran. Ma Netanyahu può parlare apertamente di questo, i sauditi no. I leader (arabi) locali guardano a Israele con interessi e occhi diversi ma la maggior parte degli arabi, mi riferisco alle persone comuni, erano e restano convinte che Israele sia il vero problema del Medio Oriente, non l’Iran.

 

 

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