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È il momento di regolarizzare i braccianti stranieri

È il momento di regolarizzare i braccianti stranieriBraccianti nella campagna calabrese

Agromafie Appello della Flai Cgil e dell’associazione Terra! Onlus indirizzato alle massime cariche del governo e al presidente Mattarella, per chiedere l'emersione dal lavoro nero dei migranti

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 9 aprile 2020

Sono molti ad avanzare, ogni giorno, proposte per tutelare la produzione agricola del Paese. Non vi è dubbio che migliaia di aziende agricole sono gravemente sofferenti e che vanno sostenute nel modo migliore possibile. Ma perché questa pandemia non diventi occasione per strumentalizzare quelle sofferenze e nel contempo emarginare e sfruttare ancor più lavoratori e lavoratrici agricoli, si deve chiarire come stanno realmente le cose. Non si può infatti usare il dramma del coronavirus come cavallo di Troia per proposte che vanno a discapito dei diritti del lavoro, delle garanzie contrattuali e costituzionali, della salute di milioni di donne, uomini e dell’ambiente.

La proposta ad esempio di reintrodurre i voucher rischia di amplificare la platea degli sfruttati, abbassando ulteriormente le loro retribuzioni e consolidando la loro marginalità sociale. Una proposta alla quale anche ItaliaViva sta andando dietro e che rischia di amplificare le ingiustizie nel Paese. Rottamare i diritti in favore dei profitti, dunque. Proposte di questa natura rischiano di cancellare anni di lotte dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno dato corpo ad un movimento democratico contro padroni, padrini e caporali, e contro una povertà e marginalità divenuta sistema, come da anni pubblicazioni scientifiche e dossier documentano, come il dossier Agromafie di Eurispes, Agromafie e caporalato della Flai Cgil o gli studi delle Nazioni Unite.

Il caporalato e lo sfruttamento non sono episodici o espressione di un sistema di produzione arretrato, ma una delle punte più avanzate di un modello di sviluppo che ha permesso a padroni, mafie e potentati vari, di conquistare potere e profitti milionari. Il dossier Agromafie di Eurispes ha certificato per le agromafie un business complessivo di circa 25 miliardi di euro. Soldi che stratificano l’articolazione di un sistema criminale che concorre a mantenere ai margini il lavoro, soprattutto quando esso è manuale, pericoloso, condotto in prevalenza dai migranti, socialmente poco prestigioso.

Ancora in questi giorni a molti lavoratori viene chiesto di acquistare maschere e guanti pena il loro licenziamento, di lavorare fino al tramonto, di caricare per 20 euro al giorno pedane e furgoni di frutta e verdura che tutto il Paese in quarantena ricompra ogni giorno sui banchi dei supermercati. Si deve invece sostenere l’appello della Flai Cgil e dell’associazione Terra! Onlus indirizzato alle massime cariche del governo e al presidente Mattarella, per chiedere la regolarizzazione dei migranti privi di permesso di soggiorno, perché possano essere riconosciuti non più come corpi da sfruttare e lasciare dormire in capanne di fango ed eternit, ma come uomini e donne titolari del fondamentale diritto alla salute, alla rappresentanza, del diritto di parola, di associazione, di autorappresentazione, di lotta, in un Paese che nasce democratico proprio sulla lotte dei braccianti e dei contadini.

È poi fondamentale cancellare la legge 132/2018 (Decreto Sicurezza). Come ha ricordato Amnesty International Italia col suo dossier «I sommersi dell’accoglienza», quella norma ha cancellato, insieme al permesso di soggiorno per motivi umanitari, i diritti, le prospettive e le aspirazioni di migliaia di donne e uomini migranti che avevano diritto ad un’accoglienza civile e ben organizzata. Sono uomini e donne che si sono ritrovate, in buona parte, in mezzo ad una strada, abbandonati da uno Stato che dice di voler combattere lo sfruttamento ma mette nelle mani di caporali e padroni migliaia di braccia straniere senza più futuro. Alcuni di queste persone sono nel frattempo morte.

È accaduto a Nash, ghanese di 67 anni, da 25 in Italia e da tre nel progetto di accoglienza Sprar di Caserta, morto la notte del 24 marzo, all’ospedale locale dove era ricoverato da tre settimane per l’aggravarsi delle sue pregresse patologie ai polmoni e al cuore. Sono morti che pesano sulla coscienza del Paese e su una classe dirigente, tutta, che ancora fino a qualche mese fa dichiarava di voler cancellare quella legge e di combattere il caporalato, mentre ogni giorno invece la applicava con risultati drammatici.

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