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È guerra nel Sinai

È guerra nel SinaiI parenti di alcuni dei militari uccisi a al Arish – Reuters

Egitto Jihadisti dell’Abm in azione: 32 morti. L’esercito si vendica bombardando al-Arish. Intanto le donne della rivoluzione manifestano in nome di Shaimaa al-Sabbagh

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 31 gennaio 2015

Sono 32 i morti e 42 i feriti in quattro attacchi dinamitardi tra al-Arish e Rafah contro le forze di sicurezza di Sheikh Zuweid. Gli attentati sono stati rivendicati da Ansar Beit al-Maqdis (Abm), gruppo jihadista che ha proclamato la sua affiliazione allo Stato islamico in Iraq e Siria (Isis). Anche un neonato e un bambino di sei anni tra le vittime. Dopo gli attacchi, l’esercito egiziano ha annunciato l’avvio «di una larga offensiva» nella penisola con l’uso di elicotteri Apache.

A ognuno i suoi martiri, e così il presidente Abdel Fattah al-Sisi, che nulla ha detto sui 23 attivisti uccisi dalla polizia nel quarto anniversario dalle rivolte di piazza Tahrir, ha subito fatto sapere che «vendicherà i suoi martiri».
Si tratta del più grave attentato contro le forze di sicurezza egiziane dallo scorso ottobre, quando persero la vita 31 tra militari e poliziotti. Da quel momento nel Sinai vige lo stato di emergenza ed è stato imposto un coprifuoco permanente. Non solo, è stata avviata la costruzione di una zona cuscinetto con la Striscia di Gaza che ha fin qui causato lo spostamento forzato di almeno duemila famiglie. Dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013, la penisola del Sinai è teatro dello scontro tra milizie jihadiste e militari.

Ma la guerra in corso nel Sinai non è come le altre. In pochi mesi i morti sono oltre 600, tra polizia, militari e civili, mentre centinaia sono i jihadisti uccisi. Per questo, il capoluogo del Sinai, Al-Arish, è completamente militarizzato ed è stato costruito un muro di cinta intorno al centro urbano. «Si tratta di una guerra contro i civili. Ci sono certamente dei terroristi ma l’esercito persegue una punizione collettiva», ci ha spiegato Ismail Alexandrani, ricercatore del Centro per i diritti economici e sociali del politico comunista Khaled Ali. Nel gennaio 2014 per la prima volta nella storia militare egiziana, l’esercito ha attaccato un aereo combattente di una milizia jihadista e non di un paese straniero. Da quel momento Tel Aviv ha appoggiato la «lotta al terrorismo» di al-Sisi, con l’assassinio in territorio egiziano di Ibrahim Awidah, leader di Abm, e il rapimento di Wael Abu Rida, leader del movimento palestinese della jihad islamica.

E così il Sinai è diventata la culla di gruppi jihadisti. Uno di questi è Abm, che ha rivendicato i principali attentati degli ultimi mesi. La novità è l’alleanza tra questi movimenti con giovani beduini e contrabbandieri. Agli occhi della popolazione locale, i jihadisti sembrano gli unici ad opporsi all’emarginazione delle popolazioni beduine. E così Abm ha strumentalizzato lo scontro tra esercito e islamisti della Fratellanza, aumentando a dismisura i suoi affiliati e proseliti.

Non stupisce neppure che l’attacco di ieri sia avvenuto proprio quando le manifestazioni di piazza avrebbero potuto lasciare lo spazio a maggiore tolleranza per i movimenti, rispolverando la solita e perversa alleanza tra forze dell’Intelligence militare e i jihadisti nel Sinai. Proprio lo scorso giovedì si sono riunite in piazza Talaat Harb centinaia di donne per ricordare la rivoluzionaria e poetessa egiziana Shaimaa el-Sabbagh, uccisa il 24 gennaio dalla polizia mentre portava una rosa per i martiri di piazza Tahrir.

Le attiviste tenevano tra le mani cartelli in cui il ministro dell’Interno Mohamed Ibrahim veniva definito «assassino» e i suoi uomini «criminali». Gli organizzatori hanno deciso di indire una manifestazione di sole donne per evitare infiltrazioni di uomini in borghese che avrebbero potuto sparare sulla folla. L’attacco a Shaimaa ha provocato le rare critiche contro il ministero dell’Interno del giornalista Sayed el-Naggar sul quotidiano filo-governativo al-Ahram: «I proiettili – ha scritto – non erano il metodo di Shaimaa, ma è stata uccisa a sangue freddo dalla stessa persona che ha ucciso i martiri che lei stava andando a onorare, da chi ha infuocato i cuori e seminato il vento della violenza». Ma el-Naggar ha richiamato anche le responsabilità di al-Sisi. «Siamo tutti responsabili di vendicare la morte di Shaimaa, primo fra tutti il presidente eletto che ha l’incarico di proteggere le vite della popolazione almeno contro gli abusi di potere», ha scritto il giornalista.

La sinistra egiziana e in particolare l’Alleanza popolare socialista hanno annunciato che boicotteranno le elezioni parlamentari di marzo. Shaimaa è stata seppellita nel cimitero di Alessandria d’Egitto a pochi metri dalla tomba dell’altro simbolo delle proteste del 2011 Khaled Said, anche lui ucciso brutalmente dalla polizia.

 

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